Il 22 marzo è il World Water day, ovvero la Giornata mondiale dell’acqua che focalizza l’attenzione sull’importanza dell’acqua dolce e sulla gestione sostenibile delle risorse. Ma quando si parla di acqua non si può non pensare anche al mare, una risorsa preziosa a livello naturale ed economico, uno scrigno di biodiversità, fonte di ricchezza e generatore di benessere, oggi cimitero di tonnellate di rifiuti plastici che costituiscono una grave minaccia ambientale. Per sensibilizzare la collettività sul tema dell’inquinamento causato dai rifiuti in mare è nato Archeoplastica, il progetto che trasforma in pezzi da museo gli oggetti spiaggiati e prova a ricostruirne la storia, con l’obiettivo di portare l’osservatore a riflettere sulla necessità di proteggere e salvaguardare l’ambiente marino.
Il progetto Archeoplastica: sensibilizzare per cambiare il futuro e salvaguardare il mare
«Il mare è tutto. È movimento ed amore, è l’infinito vivente». Con queste parole il Capitano Nemo, celebre personaggio del romanzo di Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, descrive il suo amore per il mare. Un mare che oggi, da simbolo di libertà e avventura, capace di ispirare e affascinare, si è trasformato in un’immensa discarica di rifiuti di plastica che minacciano l’ambiente marino e mettono a rischio la nostra salute e quella delle generazioni future.
Ed è proprio per sensibilizzare la comunità sul rispetto dell’ambiente marittimo che, oltre alla Giornata mondiale dell’acqua, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e celebrata il 22 marzo di ogni anno, esistono due momenti dedicati al mare: la Giornata mondiale del mare, che ricorre il 29 settembre, e la Giornata Nazionale del Mare, che cade l’11 aprile. A queste data va inoltre aggiunta quella dell’8 giugno, giorno del World Ocean Day.
Il cambiamento naturalmente non avviene in un solo giorno. Si tratta di un processo lungo e graduale, che deve rendere le persone consapevoli delle conseguenze delle loro azioni e spingerle a fare scelte più sostenibili per proteggere il nostro mare. Le strade di questo percorso spesso incrociano creatività e arte, come nel caso di Archeoplastica, il progetto nato dall’idea di Enzo Suma, guida naturalistica di Ostuni e fondatore di Millenari di Puglia, una realtà dell’alto Salento impegnata nella fruizione, nella valorizzazione del territorio, nell’educazione ambientale e anche nel volontariato naturalistico.
Il mare, testimone silenzioso degli effetti dell’inquinamento, da sempre restituisce ciò che l’uomo ha gettato via, rendendo le spiagge un tappeto di oggetti che un tempo avevano una vita diversa.
L’idea di Suma parte da qui: recuperare questi materiali, organizzando diverse giornate di raccolta collettiva, e provare a ricostruire e raccontare le storie, a volte incredibili, che si celano dietro agli oggetti che, dopo un lungo viaggio, finiscono spiaggiati.
In che modo? Trasformando quelli che sono dei semplici rifiuti in veri e propri reperti che vanno a formare la collezione del Museo virtuale di Archeoplastica e sono anche protagonisti di mostre fisiche, reali, dove poter vedere con i propri occhi ciò che il mare riporta sulla terraferma. È così che un flacone di miele a forma di Pierrot, risalente agli anni Sessanta, o un vecchio pallone dei Mondiali Italia ’90, diventano strumenti che, senza alcun filtro, raccontano la storia dietro i rifiuti in mare e svelano qual è il peso delle nostre azioni sull’ecosistema marino.
Il messaggio che Archeoplastica vuole condividere è chiaro: non è mai troppo tardi per pensare al futuro, e tutti noi possiamo fare la nostra parte per salvaguardare il mare.

Un mare di plastica: quali sono gli effetti e i rischi dell’inquinamento su ambiente e uomo?
Perché il mare è così importante lo spiegano bene i dati diffusi dall’Onu: più di 3 miliardi di persone dipendono dagli oceani per il loro sostentamento e oltre l’80% del commercio mondiale di merci avviene via mare. Gli oceani contribuiscono all’eliminazione della povertà, a una crescita economica sostenuta e alla sicurezza alimentare. Tuttavia, i benefici che forniscono sono sempre più compromessi dalle attività umane che mettendo a rischio il delicato equilibrio che caratterizza questo vasto ecosistema.
L’aumento delle emissioni di CO2, infatti, sta determinando il riscaldamento, l’acidificazione e la deossigenazione degli oceani, che minacciano gli ecosistemi marini e le persone che da essi dipendono, annullando la loro capacità di moderare i cambiamenti climatici.

Tra le principali cause dell’inquinamento del mare, il più importante è senza dubbio quello dei rifiuti in mare. Lo sapevi che ogni minuto sono circa 15.000 i chilogrammi di rifiuti di plastica che si riversano nell’oceano? A dirlo è il WWF e questo numero così spaventosamente alto potrebbe essere ridotto solo se tutti noi prendessimo coscienza della nostra responsabilità nei confronti dell’ambiente.
La principale organizzazione mondiale per la conservazione della natura sottolinea che di questo passo, entro il 2050 quasi tutti gli uccelli marini avranno della plastica nello stomaco e nei mari ci sarà più plastica che pesci. Basterebbe già questo per chiederci cosa possiamo fare, nella nostra vita quotidiana, per ridurre il consumo di plastica e mantenere i mari puliti, ma c’è anche un altro aspetto che non va trascurato: la plastica non viene ingerita solo dagli animali. Ci hai mai pensato?
Sì, anche noi esseri umani, attraverso il cibo, assumiamo plastica e per la precisione 5 grammi in media a settimana che equivalgono, all’incirca, alla quantità di plastica di una carta di credito. In un anno questo dato corrisponde a oltre 250 grammi di plastica. Insomma, la plastica che raggiunge il mare e gli oceani non è solo un pericolo per la vita marina, ma ha anche un impatto diretto sulla salute umana.

Da Mare Nostrum a Mare Plasticum: lo stato di salute del Mar Mediterraneo
Culla di civiltà che hanno segnato la storia dell’umanità, patrimonio culturale, nodo strategico di scambi e di comunicazione, il Mar Mediterraneo è una risorsa naturale essenziale con un valore economico cruciale. Ma è anche una vittima di pressione da parte dell’uomo: pratiche di pesca insostenibili, inquinamento marino e cambiamenti climatici minacciano la sua stessa esistenza.
L’inquinamento da plastica, in particolare, causato dall’elevata densità di popolazione, dai grandi afflussi di turisti, dalla navigazione mercantile e dalla mancanza di sistemi coerenti di gestione dei rifiuti, è una delle principali cause del degrado delle sue acque.
Basti pensare che, secondo lo studio The Mediterranean: Mare Plasticum, dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), il totale della plastica accumulata nel mar Mediterraneo è stimato nell’ordine di grandezza di 1.178.000 tonnellate, con un range che va da 53.500 a 3.546.700 tonnellate. Si tratta di una stima caratterizzata da un’elevata incertezza, in quanto la maggior parte delle ricerca intrapresa finora si è concentrata principalmente sulla plastica accumulata sulla superficie del mare, che costituisce meno dello 0,1% del totale. Lo studio, inoltre, stima una perdita annua di plastica nel mar Mediterraneo pari a 229.000 tonnellate composte per il 94% da macroplastiche e per il 6% da microplastiche, ovvero frammenti di dimensioni inferiori a 5 mm.
In entrambi i casi, sia le macro che le micro plastiche arrivano in mare tanto dalle coste quanto dalle località che non affacciano sul mare, attraverso i fiumi. Dall’analisi di IUCN emerge che le microplastiche primarie derivano principalmente dal consumo di consumo di pneumatici (53%), dal lavaggio dei tessuti (33%), dai cosmetici (12%) e infine dalla produzione e trasporto di pellet di plastica (2%).

Quali sono secondo te i Paesi che contribuiscono maggiormente all’inquinamento da plastica del Mar Mediterraneo? Se pensi che negli anni l’Italia abbia adottato comportamenti virtuosi per ridurre il peso della plastica, abbiamo una brutta notizia da darti: lo studio evidenzia che l’Italia, insieme ad Egitto e Turchia, è responsabile della dispersione di circa il 50% dei rifiuti di plastica che finiscono in mare (132.000 tonnellate/anno). Inoltre, tra le città più inquinanti del bacino mediterraneo ben cinque sono italiane: al primo posto c’è Roma seguita da Milano, Torino, Palermo e Genova.
Ma è davvero è possibile invertire la rotta di questa situazione allarmante? La risposta è sì, è possibile. Il primo passo è informare ed educare, incoraggiando l’uso di prodotti e pratiche più sostenibili. Anche mostrare quali sono le conseguenze dell’inquinamento da plastica è un modo per far passare le persone da uno stato di apatia e indifferenza all’azione.
In questo contesto si inserisce l’originale progetto Archeoplastica che utilizza i rifiuti spiaggiati per stimolare una riflessione sull’impatto delle nostre azioni sull’ambiente, offrendo una prospettiva decisamente diversa dalla classica narrazione sul problema dell’inquinamento del mare.