Le opere d’arte contemporanea, soprattutto quella ambientale, che hanno contribuito a indagare la crisi climatica e le sue conseguenze hanno saputo creare una sinergia virtuosa tra discipline, che attinge dalla scienza per sfociare nell’attivismo e nella sensibilizzazione sociale. Queste grandi installazioni, infatti, hanno la capacità di agire come un piccolo shock collettivo sui visitatori, rendendo i dati e le evidenze scientifiche che sono state fatte a monte della loro realizzazione più intelligibili, così da risvegliare una consapevolezza profonda, legata al carico emotivo che comportano.
Le opere di arte contemporanea, in particolare ambientale ma non solo, che hanno contribuito a indagare negli ultimi decenni la crisi climatica e le sue conseguenze e hanno saputo dar vita a una sinergia virtuosa tra discipline, che attinge dalla scienza per sfociare nell’attivismo e nella sensibilizzazione sociale, passando per la creazione artistica. Basti pensare alla performance HighWaterLine di Eve Mosher, realizzata per la prima volta a New York nel 2007, in cui l’artista segnava con un gessetto blu le aree della città che in futuro sarebbero state sommerse o vittime degli effetti di eventi atmosferici avversi resi sempre più incalzanti dal cambiamento climatico; ma anche il ciclo The City di Lori Nix (2010), in cui si vedono classici spazi antropizzati in totale disfacimento, costringendoci in un colpo d’occhio a rimettere in discussione i nostri valori e la nostra presenza nel mondo, la nostra impronta sulle sue forme; o ancora Ice Watch, un orologio glaciale realizzato da Olafur Eliasson in concomitanza con la Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite del 2018 davanti alla Tate Modern di Londra; così come le installazioni del collettivo spagnolo Luzinterruptus, tra cui il soffocante labirinto di rifiuti plastici realizzato per la prima volta nel 2014 a Katowice, in Polonia, e poi nel 2017 a Madrid, o l’edificio situato uno dei quartieri più ricchi di Mumbai che sembra per scoppiare tanto è stato riempito di sacchetti di plastica, The Plastic We Live With.
Un dialogo diretto con l’ambiente
Queste opere aprono un dialogo diretto con l’ambiente che le circonda, costringendoci a percepirlo in maniera diversa e meno scontata e aggiungendo una stratificazione di significati all’immagine che abbiamo di esso. Il paesaggio, infatti, è lo scenario delle nostre emozioni e il simbolo fattosi immagine del nostro senso di identità più profondo. Quando cambia, noi cambiamo con lui; e se quando viene deturpato viviamo una sorta di lutto, accompagnato da solastalgia, un senso di vuoto, alienazione e malinconia, quando viene trasformato dall’arte si attiva una reazione simile, ma positiva, fondata su un forte senso di meraviglia, curiosità e stupore.
Questi interventi site-specific e/o di land art, spesso declinati a seconda dei luoghi che li accolgono, hanno la capacità di attivare gli ambienti, innescando una sorta di piccolo shock collettivo e rendendo i dati e le ricerche scientifiche a monte più comprensibili e vicini all’esperienza dei visitatori e in generale del grande pubblico, sensibilizzandolo in maniera immediata e più efficace. Questo meccanismo, infatti, fa direttamente leva sulla nostra percezione emotiva, bypassando le nostre difese e i nostri pregiudizi per risvegliare una profonda coscienza etica, difficile da raggiungere altrimenti su larga scala esclusivamente attraverso numeri, report e paper.
Cambiare sé e il mondo attraverso l’arte
Il portato emotivo connesso con ambienti e spazi che conosciamo viene potenziato dall’arte, tramite un affascinante processo evocativo, capace di trasmettere conoscenze attraverso la nostra percezione, riuscendo addirittura a convertirle in un positivo effetto domino, che oltre a cambiare il punto di vista di chi le osserva, porta a prendere concretamente posizione e a cambiare le proprie modalità di azione, come spinto dal desiderio di diventare un’estensione dell’opera stessa, per fare la propria parte nella difesa del pianeta. È così che certe opere, che a volte si trasformano grazie a variazioni progettuali di un concept ripetuto, in veri e proprio progetti continui ed itineranti, riescono a creare una comunità profondamente legata e accomunata da sentimenti, idee, impegni e valori, una rete di persone attive ciascuna a suo modo per contribuire a rivoluzionare paradigmi abitudinari e dannosi.
In questo modo l’arte contemporanea non si fa semplicemente strumento di narrazione e testimonianza della crisi climatica, ma diventa un vero e proprio mezzo antropotecnico, con cui operare su noi stessi e sul contesto che ci ospita, espandendo gli effetti di questo cambiamento in maniera sempre più ampia, a livello sociale, ambientale, intimo ed economico, coinvolgendo sempre più persone e diffondendo una rinnovata sensibilità. L’arte ritrova così l’urgenza che ha avuto in altre epoche del passato, avvicinandosi alle cose del mondo, spostando il proprio punto di vista sulle altre forme di vita e impegnandosi a ricucire lo strappo tra artificiale e naturale, che determina e al tempo stesso condanna l’esistenza della specie umana.