Oggi sappiamo che il futuro della mobilità urbana non può che essere nel segno della condivisione e dell’elettrico. Nonostante sia vero che una forte spinta evolutiva per arrivare dove siamo oggi nella produzione di auto elettriche sia necessaria, tentativi in questo senso sono stati fatti decenni fa: è il caso delle Witkar, auto elettriche ante litteram, nate negli anni Settanta nei Paesi Bassi. Già all’epoca si era intuito che la condivisione – quindi il superamento della proprietà – e l’elettrico – cioè l’abbattimento delle emissioni – sono gli obiettivi da raggiungere.

Elettrico e in condivisione, ecologico e silenzioso: sembrerebbero aggettivi tratti dalla descrizione di un veicolo moderno, di quelli che sono oggi considerati tra gli ingredienti – con biciclette e treni – più efficaci per decarbonizzare la mobilità, ma questi aggettivi descrivono anche uno dei primi esperimenti con le auto elettriche: le witkar.

Amsterdam, negli anni Settanta, non era la capitale delle biciclette che conosciamo oggi: al contrario, il centro urbano era intasato dal traffico e l’aria era sempre più irrespirabile, mentre lo stress dei cittadini, tra clacson e motori rombanti, continuava a crescere. L’epoca era quella del boom automobilistico: le quattro ruote erano uno status symbol e la consapevolezza in tema di sostenibilità lontana. Tra chi voleva cambiare le cose c’era il designer industriale Luud Schimmelpenninck, membro del consiglio comunale di Amsterdam, che propose il Witte fietsenplan (“Piano delle biciclette bianche”).

Si trattava di un piano di fornitura gratuita di migliaia di biciclette pubbliche per incoraggiare i cittadini a evitare l’uso delle auto. Oggi tutto ciò suona molto familiare, ma all’epoca il progetto fu respinto e Schimmelpenninck decise di studiare un’alternativa più vicina alla classica automobile: progettò così una rete collettiva di veicoli elettrici, chiamata Witkarplan. Il Comune, ancora una volta, rifiutò di sostenerlo, ma questa volta il designer non rinunciò e fondò invece una cooperativa con la quale ottenne prestiti per 250mila dollari per avviare la produzione: 2500 cittadini avevano già sottoscritto un abbonamento prima ancora che l’auto fosse lanciata, nel 1974.

La flotta di veicoli – basata su un progetto del 1969 – era costituita da piccole e agili auto bianche a due posti, che potevano essere utilizzate pagando un abbonamento e ottenendo così una speciale chiave elettronica; con questa si poteva ritirare il veicolo in una delle stazioni di ricarica, dove tornare a depositarlo dopo l’uso. Queste auto avevano un’autonomia di circa 30 minuti di guida, con una velocità massima di 30 chilometri orari che, se all’epoca era una cifra imposta dai limiti tecnologici, oggi risulta anch’essa in anticipo sui tempi, trattandosi di una velocità molto sicura per viaggiare in città: un pedone investito a questa velocità sopravvive infatti 9 casi su 10, contrariamente a quanto accade già a 50 chilometri orari.

La prima witkar uscì in strada per la prima volta nel 1974 e oggi può essere a ragione considerata l’antenata del car sharing di veicoli elettrici, con elementi che risultano intuizioni vincenti come per esempio il sistema informatico che gestiva la rete, l’elettrificazione usata come mezzo per abbattere le emissioni e la rapidità di ricarica, fino all’80% di batteria in 10 minuti; le dimensioni contenute e il design compatto, poi, contribuirono a ridurre l’ingombro delle strade. Il successo fu buono e la rete fu in funzione fino al 1986, con cinque stazioni attive e fino a 4500 utenti. Ci furono studi che dimostrarono che 20 stazioni witkar avrebbero ridotto del 10% il traffico cittadino, ma purtroppo il progetto non risultò economicamente sostenibile sul lungo periodo ed esaurì i fondi. Alla metà degli anni Ottanta, infatti, il piano delle Witkar fallì e fu necessario aspettare anni perché cominciassero a prendere piede seriamente, con una nuova consapevolezza, progetti analoghi.

In realtà, alcuni esperimenti di auto elettriche erano stati fatti già a cavallo tra XIX e XX secolo, per esempio negli Stati Uniti con la Baker Electric, la prima auto elettrica della storia, che poteva arrivare fino a 35 chilometri orari e percorrere fino a 80 chilometri. In Italia nel 1909 era uscita la “Vettura elettrica” dell’azienda STAE, con un motore di 10 cavalli e una velocità massima di 30 chilometri orari. Parallelamente alle witkar olandesi, poi, anche la Fiat nel 1974 aveva presentato una variante elettrica della Fiat City Car, ulteriormente migliorata nel 1979. Tuttavia, i progetti più ampi si ebbero solo nel corso dei due decenni successivi, quando tutte le principali case automobilistiche cominciarono a lanciarsi nel settore dell’elettrico, che solo nell’ultimo decennio, comunque, ha raggiunto un peso importante; è chiaro, quindi, che quelle intuizioni valide e quei coraggiosi esperimenti avevano anticipato i principi e il progetto che oggi muovono le smart city e la mobilità elettrica, fondate sui principi di condivisione e decarbonizzazione.