I segreti dei borghi fantasma. Storie misteriose e affascinanti tra eventi naturali, scelte sociali e decisioni troppo ardite. Un viaggio emozionante nella storia dimenticata.
Può succedere, nell’arco della storia, che un borgo muoia. Letteralmente. Cioè che perda la sua vita, in questo caso la sua popolazione. È il caso dei borghi fantasma, ed è meno isolato di quanto sembri. Secondo le stime Istat di non più di 2 anni fa, sul territorio nazionale si contano più di 1.000 cittadine abbandonate, che diventano 6.000 se al computo si aggiungono i piccoli agglomerati di abitazioni e gli alpeggi.
Perché un borgo diventa un borgo fantasma?
Le motivazioni che possono portare all’abbandono possono essere diverse, dalle cause naturali a quelle sanitarie o sociali. Come vedremo, però, nulla esclude che un borgo fantasma possa tornare a nuova vita, in un modo o nell’altro.
Quando interviene la natura
Alcune cause che portano allo spopolamento di un borgo riguardano le catastrofi naturali che hanno effetti devastanti sul territorio, come ad esempio terremoti, frane o alluvioni. Tragedie che possono segnare la fine anche di paesi prosperi e felici.
Bagnoregio
Un esempio è la storia di Bagnoregio, nel Viterbese, uno dei borghi più belli d’Italia. Nell’antichità la città era denominata Bagnorea: passata dall’Impero Romano ad una lunga serie di dominazioni (dai Visigoti ai Goti, dai Bizantini ai Longobardi, dai Franchi al Papato), divenne libero comune nel XII secolo dopo essersi rivoltata contro i Conti Monaldeschi della Cervara, iniziando un lungo momento di prosperità, anche dal punto di vista dell’arte e della cultura.
In una delle sue contrade, Civita, nacque agli inizi del XIII secolo Giovanni Fidanza, San Bonaventura, uno dei principali seguaci e biografi di San Francesco D’Assisi.
Nel 1695 però un violento terremoto spacca in due la città: una rupe si forma a separare Civita dalle contrade più vicine, Mercato e Rota. Gli abitanti di Civita si spostano con il tempo a Rota che diventa l’attuale Bagnoregio.
È proprio Civita, conosciuta come la “Città che muore” (soprannome dello scrittore Bonaventura Tacchi), che continua ancora oggi ad attirare visitatori da tutto il mondo: oltre 700.000 persone l’anno visitano questo borgo e il ponte, unica via di accesso. Nella cornice della Valle dei Calanchi, una piccola perla dall’atmosfera magica, dalla Piazza San Donato al Duomo, senza dimenticare la Cattedrale con il Sacro Braccio di San Bonaventura. Se ami i gatti, ne troverai parecchi lungo la strada. Sono famosi come “i gatti di Civita”.
Campomaggiore
Dalla “Città che muore” alla “Città dell’Utopia”. La più piccola cittadina della Basilicata, fondata il 30 dicembre 1741 da Marianna Proto, vedova del Conte Nicola Rendina, era basata su un accordo con i coloni stanziati: chi si fosse stabilito a Campomaggiore avrebbe avuto in concessione un lotto di 20 palmi (1 ettaro circa) da coltivare e su cui stabilire casa, in cambio di tributi in denaro o in natura o lavori da fare per i signori.
Il nipote di Marianna, Teodoro Rendina, dette ulteriore impulso sul finire del secolo alla crescita di Campomaggiore, definendo il sistema viario e di edificazione e realizzando il Palazzo dei Voti, il Palazzo dei Rendina, la sede del Municipio e dei Carabinieri Reali, oltre alla nuova chiesa parrocchiale e ad una serie di altre strutture per servizi alla comunità. Il nipote, il marchese Gioacchino Cutinelli, forte dei suoi studi di botanica e agricoltura, porterà nuova spinta all’economia rurale e alla creazione di ulteriori quartieri. Campomaggiore divenne simbolo di progresso, passando dagli 80 abitanti degli inizi ai 1525 di fine XIX secolo.
Il 10 febbraio 1885 però tutto ciò ebbe bruscamente fine, con una frana che distrusse gran parte delle abitazioni. Alcuni trovarono riparo nelle strutture rurali dei Rendina, altri nelle campagne circostanti. Laura Antonacci, moglie di Cutinelli, fece ricorso anche alle proprie finanze per aiutare la popolazione sfollata e per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale.
All’interno di ciò che è rimasto di Campomaggiore Vecchio è stato istituito un percorso di 12 scenografie artistiche che raccontano la “Città dell’Utopia”.
Craco
Capita invece a volte che uno stesso luogo sia colpito da più eventi catastrofici causandone l’abbandono e, con esso, un’aura di solitudine ma anche di sospensione che crea un’atmosfera unica.
È il caso di Craco, borgo della provincia di Matera. Un centro storico svuotatosi negli anni ’60 in seguito ad una frana, falcidiato ancora da un’alluvione nel 1972 e dal terremoto in Irpinia del 1980, eppure ancora emana un particolare alone di bellezza e mistero che l’ha resa una location appetibile per produzioni cinematografiche anche internazionali, come La Passione di Cristo di Mel Gibson, Cristo si è fermato ad Eboli di Francesco Rosi e Quantum of Solace, film della serie di James Bond diretto da Marc Forster.
Inserito nella lista dei luoghi da salvaguardare del “World Monuments Fund”, è visitabile solo con guida ed elmetto per preservare la sicurezza.
Quando un’epidemia uccide un borgo: la storia di San Severino di Centola
Può succedere invece che sia un’epidemia a decretare la fine della vita di un borgo. È il caso di San Severino di Centola, comune all’interno del Parco Nazionale del Cilento. La popolazione fu afflitta infatti da un’epidemia di peste nel 1624, il che iniziò un progressivo spopolamento del paese.
Un villaggio posizionato su un dirupo, dall’economia prevalentemente agricola. Come però accade sovente in questi contesti, il progresso tecnico e la costruzione di nuove vie di comunicazione terminarono alla fine del XIX secolo quello che la peste aveva iniziato: la costruzione della ferrovia Pisciotta-Castrocucco nel 1888 portò nei successivi 50 anni ad un progressivo spostamento della popolazione verso la valle.
A ridare nuova vita in questi anni però a San Severino ci pensa oggi l’Associazione “Il Borgo”, che promuove il paese con eventi e rappresentazioni, come quella del Presepe Vivente.
La folle storia di Consonno
Una menzione a parte la merita Consonno, borgo in provincia di Lecco. Un tranquillo borgo brianzolo, fino agli anni ’60.
Quando Mario Bagno, Grande Ufficiale e Conte di Valle dell’Olmo, acquista il borgo, inizia una storia degna di una tragedia greca, con gli dei pronti a punire la hybris, la superbia degli uomini. Il progetto è infatti trasformare quello che prima era un placido borgo agricolo in una vera “Las Vegas” italiana. Nei sogni di tutti c’è l’illusione di un posto brulicante di turisti, e con essi indotto e benessere.
Ma il benessere pensato da Bagno significa una cosa ben precisa: spianare tutto, anche le case dove serve per far spazio al nuovo che avanza: si pensa a hotel di lusso, edifici opulenti in stili cinesi e mediorientali, sale da gioco e persino un circuito automobilistico.
Ci si spinge troppo oltre quando viene spianata la collina di fronte al paese. L’avventatezza crea una frana che nel 1976 spezza il sogno condannando all’abbandono il paese che non c’è.
Come per San Severino, anche Consonno sta risorgendo dall’oblio grazie ad un’associazione del posto, gli Amici di Consonno, che organizzano eventi e visite al paese.
Sono solo 5 storie, tra oltre 1.000, ma rappresentative della ricchezza di storia dei borghi del nostro paese. Ricchi di segreti, anche (forse soprattutto) quando sono abbandonati.