La Calabria, punta dello stivale italiano, è una terra ricca di cultura, tradizioni affascinanti e paesaggi mozzafiato. Dalla natura aspra e varia che caratterizza il Parco Nazionale del Pollino alle ampie e panoramiche spiagge bagnate dalle acque cristalline del Mediterraneo, passando per le meraviglie del suo ricco patrimonio artistico e culturale, la Calabria è una regione piena di sorprese. Ma cosa sarebbe un viaggio qui senza una sosta in alcuni dei suoi borghi più affascinanti e pittoreschi che conservano intatta l’atmosfera e lo spirito di un tempo? Per questo abbiamo selezionato quelli che secondo noi sono i borghi da visitare in Calabria almeno una volta nella vita.
Quali sono i borghi più belli della Calabria da non perdere?
Chiudi gli occhi e immagina un luogo tra mare e montagna, dove il clima è mite tutto l’anno e puoi respirare cultura e tradizione in ogni angolo, mentre panorami da cartolina disegnano l’orizzonte intorno a te e i profumi della tavola evocano i sapori di una gastronomia orgogliosa delle proprie radici. Adesso puoi smettere di sognare e aprire gli occhi perché tutto questo esiste davvero e si chiama Calabria.
Terra ricca di storia e leggende, con un rilevante patrimonio artistico, archeologico e naturale, parte dell’antica e gloriosa Magna Grecia, questa regione – che confina a nord con la Basilicata e a sud-ovest è separata dalla Sicilia dallo stretto di Messina – è un posto unico e suggestivo, scrigno di tesori tra cui alcuni dei borghi più belli d’Italia.
I borghi calabresi sono autentici musei a cielo aperto, angoli di paradiso dove il tempo sembra essersi fermato, l’atmosfera è tanto piacevole quanto rilassante, i paesaggi incantano a prima vista e gli abitanti del mantengono vivi i costumi e le antiche tradizioni della loro terra. Dalla costa all’entroterra, passando per le pendici dei monti e lungo i laghi, i borghi della Calabria conservano ancora oggi caratteristiche e peculiarità che li rendono inconfondibili e, soprattutto, indimenticabili per chiunque decide di perdersi tra le loro strade per scoprire quello che hanno da offrire.
Quindi, se stai programmando un viaggio in questa meravigliosa regione, non puoi assolutamente perdere l’occasione di esplorare questi paesini della Calabria che ti ruberanno il cuore con la loro straordinaria bellezza.
Dopo il nostro viaggio tra i 12 luoghi da visitare sul versante tirrenico, ecco una selezione dei borghi più belli in Calabria da visitare almeno una volta nella vita. Dei quindici sparsi sul territorio, abbiamo scelto dieci gemme che, siamo certi, ti lasceranno a bocca aperta.
Il borgo di Aieta
Cominciamo il nostro itinerario alla scoperta dei borghi della Calabria da Aieta, il cui territorio è parte integrante del Parco Nazionale del Pollino. Ciò significa che se tra le tue passioni c’è il trekking, questo è il posto giusto per una vacanza a contatto con la natura.
Le radici del nome sono probabilmente greche e il toponimo deriverebbe da aetòs, che significa “aquila”, in virtù della posizione dominante del paese o forse per via della presenza nella regione di numerose aquile, animale raffigurato anche nello stemma del paese.
Aieta ha origini medievali e si stringe tutto intorno al suo palazzo più importante, ovvero l’edificio eretto nel XVI secolo dai Martirano, uno dei pochi esempi dello stile rinascimentale applicato all’edilizia civile in Calabria. Tra gli edifici religiosi, spicca la Chiesa Madre, dedicata a Santa Maria della Visitazione, con lo splendido portale in pietra e i pilastri decorati a volute, al cui interno sono conservati numerosi affreschi e dipinti su tavola, un crocefisso in legno di artigianato meridionale, la preziosa icona della Madre di Consolazione e la Madonna del Carmine di Dick Hendricksz.
Altri luoghi che meritano una visita sono la cappella di San Vito Martire, a circa 800 metri dal centro storico, che conserva la statua lignea settecentesca del patrono di Aieta, e la cappella di San Biagio, con i suoi meravigliosi affreschi rinascimentali. Ti suggeriamo di fermarti anche ad ammirare i magnifici portali in pietra, lavorati da scalpellini locali tra Settecento e Ottocento, che abbelliscono le viuzze del centro storico: in particolare quelli di via Cantongrande ai numeri civici 5 e 6 (rispettivamente del 1767 e del 1860, come da incisione sulla chiave di volta), 39 e 41, in via Socastro ai numeri 5, 6, 46 e 86, e nelle vie Giugni Lomonaco, Notar Lomonaco, Vico dei Nobili.
Tra i tesori del borgo ci sono anche le specialità gastronomiche a partire dai fusilli, una pasta lunga stesa con il ferretto, condita con sugo di carne di capra o di maiale oppure all’aietana, con olio, aglio, mollica di pane, acciughe salate e pepe rosso, i lagani, fettuccine larghe e spesse accompagnate da ceci o fagioli (i fasuli poverelli di Aita), la poncia di melanzane, peperoni, patate, cipolle, basilico, aglio e peperoni e la coscia di castrato o agnello (cossa ‘mbittunata) con aglio, peperoncino, prezzemolo, vino bianco e rosmarino.
Il borgo di Altomonte
Ci spostiamo ad Altomonte, che sorge sopra un promontorio a circa 455 metri s.l.m. ed è inserito in uno scenario naturale che abbraccia le cime del Pollino e dell’Orsomarso, il mare Ionio, la piana di Sibari e la valle dell’Esaro.
Secondo gli studiosi, il borgo in origine si chiama Balbia, parola fenicia derivante da Baal, che significa “signore” e “divinità”. Con questo nome la città era conosciuta dai Romani, infatti Plinio il Vecchio cita il borgo tra i luoghi che producono vini pregiati come, appunto, il Balbino. Nel 1065 l’abitato è menzionato come Brahalla o Brakhalla, forse dall’arabo “benedizione di Dio”. Successivamente, nel Trecento, il nome del paese cambia in Altoflumen, Altofiume per poi assumere definitivamente quello di Altomonte per volere della Regina Giovanna I.
Tra il dedalo di vicoli, strade e scale spicca la Chiesa della Consolazione, massimo esempio dell’arte gotico-angioina in Calabria, con la facciata che conserva ancora oggi le linee originarie. All’interno sono ospitate alcune delle più importanti opere di Altomonte – le altre sono custodite nelle stanze del Museo Civico che ti consigliamo di visitare per conoscere più approfonditamente la storia del borgo – il Monumento funerario di cavaliere ignoto, databile alla prima metà del Trecento, e l’imponente Sepolcro dei Sangineto collocato nell’abside, realizzato intorno al 1360 forse dal Maestro Durazzesco. Un altro edificio religioso degno di nota è la Chiesa di San Giacomo Apostolo, probabilmente di origine bizantina, con interno barocco, altare e decorazioni a stucco.
Ad Altomonte la cucina è profondamente legata alla tradizione contadina e punta sulla genuinità degli ingredienti. Tra le specialità della zona ci sono le paste fatte in casa, le minestre a base di verdure e legumi, la mischiglia, composta da nove erbe spontanee cotte insieme, e i secondi a base di carne. Tipiche del luogo sono anche le cicerchie, raro legume che sta tra i ceci e i lupini, senza dimenticare i zafarani cruschi, peperoni essiccati al sole e saltati nell’olio bollente. Tra i dolci, non dimenticarti di assaggiare quelli al miele di tradizione araba.
Il borgo di Badolato
Il piccolo borgo medievale di Badolato sorge su una collina tra due fiumare, il torrente Gallipari a nord e il torrente Ponzo a sud. Esistono diverse ipotesi sull’origine del toponimo, ma quella più accreditata, sostenuta anche dagli studi portati avanti dall’Associazione “La Radice”, è che il nome Badolato sia composto da due parole latine, vadum e latum, cioè guado largo, ampio, comodo, in riferimento al fatto che qui l’attraversamento del fiume non solo è possibile ma, date le particolari condizioni dell’acqua e del terreno, è persino comodo e da preferirsi ad altri siti.
Immerso in un contesto naturalistico di straordinaria bellezza, con spiagge lunghe e bianche baciate da un mare blu cristallino, campagne e fiumare, colline con uliveti e vigneti secolari, montagne impreziosite da cascate, piccoli laghi e sentieri naturalistici, Badolato è la destinazione perfetta se ami i viaggi slow, all’insegna della sostenibilità, di uno stile di vita tranquillo e di quella lentezza tipicamente mediterranea che non solo ci aiuta a capire meglio il mondo, ma ci riconnette con noi stessi e ciò che conta davvero. Qui puoi praticare attività che ti regalano un senso di pace e serenità, come le passeggiate tra viuzze strette e antichi sentieri che si aprono su panorami mozzafiato, visite alle cantine locali con degustazioni di prodotti tipici, corsi di cucina e lezioni di dialetto badolatese, giri in bicicletta tra le strade collinari dell’entroterra e trekking nel Parco Naturale Regionale delle Serre Calabresi, solo per citarne alcune.
Da vedere ci sono la Chiesa e Convento Francescano di Santa Maria degli Angeli, con la famosa macchina barocca della Madonna degli Angeli musicanti, l’antico bastione con belvedere sulla valle del Vodà e sulla Costa Ionica, con visita interna della suggestiva chiesa seicentesca dell’Immacolata e diversi edifici religiosi, tra cui il Santuario Basiliano della Madonna della Sanità con antico affresco di epoca tardo bizantina. Imperdibile il Belvedere “Carmelina Amato”, che si trova, in Piazza Castello con affaccio panoramico sul borgo e sul mare.
Anche la gastronomia di Badolato ha tanto da offrire. Tra i piatti più famosi ci sono riso, finocchja ‘e timpi e ndurha, oana ‘e maju (pane casereccio coi fiori di sambuco), oasta ‘e casa cu’ a carna ‘e crapa (pasta fatta in casa col sugo della carne di capra) e lambehri al sugo (lumache al sugo).
Il borgo di Bova
Il paese di Bova, chiamato anche Bova Superiore per distinguerlo dalla limitrofa Bova Marina, ha origini antichissime ed è arroccato sul versante orientale dell’Aspromonte a 820 m sul livello del mare.
Secondo la leggenda, una regina armena avrebbe guidato il suo popolo sul monte Vùa, nel cui nome appare chiaro il riferimento alla presenza del bue, cioè a una terra adibita al pascolo dei buoi. L’antico toponimo greco Vùa fu poi latinizzato in Bova e allo stemma rappresentante il bue, fu aggiunto in epoca cristiana, la figura della Madonna col Bambino in braccio.
La maggior parte del territorio comunale è compreso nell’area protetta del Parco Nazionale dell’Aspromonte, dove puoi fare trekking oppure percorrere i sentieri attrezzati per passeggiate o, ancora, scegliere di partecipare a escursioni guidate per scoprire il territorio che circonda il borgo. Tra i monumenti e luoghi d’interesse che meritano una visita c’è la Concattedrale della Madonna dell’Isodia, di origine normanna, una delle più antiche della regione, fondata nel I secolo, da Santo Stefano di Nicea, primo vescovo di Reggio Calabria, e la chiesa di San Leo, con una sola navata con cappelle laterali, preziosi stucchi ottocenteschi alle pareti e un sontuoso altare maggiore di stile barocco. Una delle attrazioni più interessanti di Bova è la Locomotiva FS 740, situata in una piazzetta all’ingresso del paese e discretamente conservata, omaggio ai Bovesi che lavorarono come ferrovieri.
Per quanto riguarda la gastronomia del borgo, a farla da padroni sono i prodotti della tradizione agro-pastorale alla base di prelibate ricette come i maccarruni al sugo di capra, i tagghiarini con i ceci, la carne di capra alla vutana. Ti consigliamo di assaggiare anche i salumi e formaggi (ovini, caprini e pecorini), senza dimenticare la lestopitta, una frittella di farina e acqua, fritta nell’olio e mangiata calda.
Il borgo di Buonvicino
Non distante dal mar Tirreno, il borgo di Buonvicino sorge su un colle a 400 metri di altitudine, alla sinistra del torrente Corvino, e si trova nell’area geografica dei Monti di Orsomarso che fa parte del Parco Nazionale del Pollino.
Buonvicino è nato intorno alla seconda metà del Trecento dalla fusione di tre casali, due di origine ellenica (Salvato e Tripidone) e uno di origine romana (Triggiano), riappacificati grazie all’opera dei monaci basiliani. Secondo la tradizione proprio questo rapporto tra “buoni vicini” sarebbe all’origine del nome dato al borgo. Tuttavia, è più probabile, invece, che le radici del toponimo siano legate al baco da seta – bombiyx in greco – che veniva coltivato in questa zona.
Buonvicino è un groviglio di viuzze, strade e scalinate su cui si affacciano bei portali, ma il vero fiore all’occhiello del paese è il belvedere – dove si trova la statua monumentale di San Ciriaco – da dove lo sguardo spazia sul parco marino della Riviera dei Cedri e sul golfo di Policastro. Se vuoi conoscere la storia e i segreti del borgo è d’obbligo una visita al Museo Arti e Gusto Buonvicino suddiviso in cinque sezioni tematiche: archeologia (testimonianze degli insediamenti bizantino e longobardo venuti alla luce presso il Sasso dei Greci), arte popolare (documentazione dei mestieri del territorio), arte sacra, arte contemporanea e beni ambientali. Una sala in particolare è dedicata a Ippolito Cavalcanti, vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo, duca di Buonvicino e gastronomo alla corte dei Borboni, autore dello straordinario Trattato di cucina teorico-pratica contenente più di mille ricette.
Insomma, se tutto ciò che ruota intorno alla gastronomia ti fa battere il cuore, allora il borgo di Buonvicino fa al caso tuo. E per rimanere in tema, ti consigliamo di assaggiare i piatti tipici della cucina locale: il capretto con patate al forno, la frittata di asparagi, ‘a pizzatua dolce o salata, i fusilli con sugo di carne di capra, il baccalà e i peperoni fritti, lo spezzatino e la trippa di capra, e naturalmente i dolci come le chinuule, i cannariculi e le crespelle.
Il borgo di Caccuri
Quello di Caccuri è un piccolo e antico borgo calabrese arroccato su uno sperone di roccia e circondato da uliveti che costituiscono la principale fonte del reddito agricolo del paese.
Il nome del paese ha origini medievali e deriva da Caccurio (in latino Caccurius), in riferimento al nome greco Kakouri, oppure al latino cacumina, cioè la vetta su cui sorge il borgo. Inoltre, alcuni reperti archeologici ritrovati all’interno del territorio comunale fanno pensare che la zona di Caccuri fosse già abitata durante il Neolitico.
I luoghi più interessanti da visitare sono senza dubbio la cappella palatina, all’interno del castello che domina l’abitato, che conserva l’aspetto tardo-seicentesco della ristrutturazione eseguita dalla famiglia Cavalcanti e i dipinti della scuola napoletana, e la Chiesa di Santa Maria del Soccorso, parte dell’antico convento domenicano, che presenta una navata unica, dal soffitto a cassettoni e con tanti altari e statue. All’interno si trova la cappella della Congregazione del Santissimo Rosario, in stile barocco, della fine del XVII secolo. Meritano una visita anche la Chiesa Madre (o Matrice) di Santa Maria delle Grazie, in stile rinascimentale e adornata simmetricamente da altari che ospitano statue e tele di grande valore, come la Trasfigurazione, e il santuario di San Rocco, situato ai margini del centro abitato, nelle vicinanze di via Murorotto, la strada che costeggia l’antico tracciato delle mura che un tempo proteggevano il borgo dagli assalti.
Girare per le strade di Caccuri per ammirare i suoi antichi vicoli e le caratteristiche piazzette è un’esperienza che ti permette di respirare il fascino rurale della Calabria, ma per completare la visita è d’obbligo assaggiare alcuni dei piatti tipici, come il calzone con la sardella, la salsa di bianchetti e peperoncino piccante e il delizioso dolce chiamato pitta ‘mpigliata.
Il borgo di Civita
Il borgo di Civita non conta più di 900 abitanti ed è tra le storiche comunità albanesi d’Italia. Sorge all’interno della riserva naturale Gole del Raganello e nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, su un altopiano a strapiombo.
Ad oggi non è chiaro se il nome del paese derivi da çifti, che in lingua arbëreshë significa “coppia” – in riferimento ai due rioni di Sant’Antonio e Magazeno -, o da qifti, che significa “aquila”, vista l’origine dei suoi abitanti, che provenivano dall’Albania, il paese delle aquile, oltre che dal rilievo e dalla morfologia del territorio in cui sorge l’insediamento, nascosto tra le rocce proprio come un “nido d’aquila”. C’è inoltre chi pensa che l’origine del toponimo derivi dal latino civitas.
Civita è uno degli insediamenti meglio conservati della Calabria interna, con stradine e abitazioni articolate secondo schemi di autodifesa. Nel centro storico, oltre alla cappella di Sant’Antonio e a quella cinquecentesca di Santa Maria della Consolazione, che ti consigliamo di visitare, si trova anche la chiesa di Santa Maria Assunta, costruita in stile barocco nella seconda metà del XVI secolo, dove ancora oggi si celebra la liturgia bizantina in lingua albanese. Il borgo è noto anche per le sue bellezze naturali, le Gole del Raganello, uno dei canyon più spettacolari d’Italia, la Timpa del Demanio, e naturalmente il Parco del Pollino.
Anche la tavola di Civita racconta l’incontro tra le tradizioni arbëreshë e la cucina tipica del Pollino che si traduce in piatti ricchi di sapori e profumi penetranti: dalla pasta fatta in casa condita con sugo di capretto al prosciutto e capocollo, dal formaggio fresco agli gnocchetti con ricotta pecorina passando per le fettuccine con funghi porcini e l’agnello alla civitese, tutti accompagnati da un buon calice di vino della zona.
Il borgo di Gerace
Ci avviciniamo alla fine del nostro viaggio tra i borghi più belli della Calabria. La città di Gerace, che si trova nel Parco nazionale dell’Aspromonte, ed è “piena di palazzi bellamente situati, posta su uno stretto margine di roccia”, come scriveva lo scrittore inglese Edward Lear nel suo Diario di un viaggio a piedi, ha un territorio comunale suddiviso in cinque zone urbane: la città alta, il castello, il borghetto e il borgo maggiore. Il nome deriva dal greco jerax, “sparviero”, in ricordo del rapace che, secondo la leggenda, avrebbe indicato agli abitanti di Locri il luogo in cui rifondare la città, al riparo dalle incursioni saracene. Secondo altri, invece, il toponimo deriverebbe dal nome bizantino Aghia (Santa) Ciriaca, o in jerà akis, “vetta sacra”. Poiché Gerace è un concentrato di monumentali edifici religiosi, di grande valore storico e artistico, e di sontuosi palazzi storici edificati nel corso della lunga storia del borgo, ti consigliamo di prenderti tutto il tempo necessario per esplorare con calma le attrazioni del borgo.
Tra i siti di maggiore interesse ci sono il Duomo, un edificio a cui è difficile attribuire una data di costruzione poiché mostra i segni di vari restauri e integrazioni appartenenti a diverse epoche, la Chiesa di San Francesco, un meraviglioso edificio gotico del Duecento, con splendido portale arabo-normanno, e Casa Marvasi, detta anche “Casa Catalana” per via della caratteristica bifora catalana che si apre sulla facciata.
Apprezzerai Gerace non solo per i suoi straordinari edifici, ma anche per i suoi panorami mozzafiato, il clima di alta collina, particolarmente fresco in estate, e la gastronomia che ha le sue radici nella civiltà contadina. Non andare via senza aver assaggiato i dolci, come i rafioli a base di pan di Spagna ricoperto di crema, zucchero e chiara d’uovo, e il leggendario Greco di Gerace, un vino liquoroso di 17 gradi, ottenuto da uve greco, di colore giallo ambrato, e prodotto in limitate quantità. Pensa che i Greci lo offrivano come segno di ospitalità insieme al miele.
Il borgo di Oriolo
Secondo la storia il borgo di Oriolo, arroccato su uno sperone a circa 450 metri d’altezza, nacque come fortezza a difesa dei cittadini scappati dalle coste per rifugiarsi dalle continue incursioni dei saraceni. Alcuni documenti del XII secolo redatti in greco riportano il toponimo Orzoùlon e Orgiòlou, derivante dal latino Hordeolus, ovvero “chicco d’orzo”.
Il paese è un ottimo punto di partenza per delle belle escursioni nelle valli circostanti, come la Val Sarmento e la Valle del Sinni, e nella catena del Pollino, dalle Gole del Raganello al Monte Pollino passando per il grazioso comune di Alessandria del Carretto che fa parte dell’associazione Borghi autentici d’Italia.
Durante la tua visita a Oriolo, non perdere l’occasione di visitare la Chiesa Madre, che custodisce reliquie di San Giorgio e di San Francesco da Paola, oltre a una collezione d’argenti, statuine del Seicento spagnolo, un settecentesco Ecce Homo in terracotta e le cripte tombali della primitiva chiesa. Non si può non menzionare anche il castello, eretto dai Sanseverino, una delle più illustri casate nobili storiche italiane, che conserva la vecchia struttura con due torri di guardia e il mastio.
La specialità del borgo? Senza dubbio tutti i prodotti a kilometro zero degli agriturismi locali e i primi della tradizione, come i firzuli con la mollica e i rascatelli con ricotta e peperoni.
Il borgo di Rocca Imperiale
Con Rocca Imperiale siamo giunti al termine del nostro viaggio. Situato al confine con la Basilicata, il borgo è famoso per i suoi limoni che, oltre a essere riconosciuti prodotto agroalimentare tradizionale, hanno ottenuto dal 2011 il marchio comunitario IGP.
In origine il nome del luogo era Castrum Carcari, divenuto in seguito Rocca Imperiale in omaggio a Federico II di Svevia che costruì qui il castello. È inoltre possibile che l’antico nome indicasse una preesistente postazione militare romana, come rivelerebbero le tombe trovate in località Cesine. Simbolo del borgo è il già citato Castello, edificato da Federico II di Svevia nel 1225, e successivamente ampliato prima dagli Aragonesi nel 1487 con l’aggiunta di torri merlate e cinta muraria, e poi, nel 1700, dai Duchi Crivelli, con la costruzione del palazzo settecentesco. Un’altra attrazione da vedere è il Museo delle Cere, ospitato all’interno dell’antico Monastero dei Frati Osservanti, che combina sacro e profano con le sue statue che raffigurano personaggi del mondo culturale, artistico, politico, religioso e sociale che hanno segnato la storia del nostro Paese e, più in generale, dell’intero genere umano: da Federico II di Svevia a De Gasperi, da Mussolini a Che Guevara, da Madre Teresa di Calcutta a Rita Levi Montalcini, da Giuseppe Verdi a Totò, tutti a grandezza naturale con occhi di cristallo, capelli veri e un abbigliamento più che reale. Numerose sono anche le chiese sparse su tutto il territorio, dalla Chiesa Madre, edificata nel 1239 per voler di Federico II, a quella di San Giovanni Battista del 1400, passando per la chiesa di Sant’Antonio da Padova del 1500 e la Chiesa del Carmine del 1600.
Anche l’offerta gastronomica di Rocca Imperiale non ha nulla da invidiare al resto dei borghi calabresi: frizzul ca’ millic (maccheroni con sugo e mollica), laganelli e ceci, arrosto di capretto e di maiale, peperoni e melanzane fritte, muffit (sfogliata con ciccioli di maiale) e, naturalmente, la golosa e profumata torta al limone.