Il cambiamento climatico e il conseguente aumento delle temperature comportano fenomeni anomali nei periodi della fioritura e ciò incide inevitabilmente sulle persone allergiche. In questo modo il clima causa un prolungarsi delle allergie che potrebbero interessare una platea più ampia nei prossimi 5 anni.

C’era una volta il tempo delle fioriture: la primavera, che per molte persone significava anche una presenza massiccia di allergeni nell’aria, con le fastidiose conseguenze del caso.

Oggi, l’innalzamento delle temperature medie ha fatto perdere alla primavera il non lusinghiero appellativo di ‘periodo delle allergie’: la vegetazione anticipa la fioritura e la prolunga nel tempo, tanto che circa 10 milioni di italiani cominciano ad accusare i sintomi allergici già alla fine dell’inverno e li trascinano anche in estate. Senza dimenticare che l’autunno è notoriamente la ‘stagione nera’ per chi è allergico agli acari e alle muffe, la cui proliferazione è favorita dall’accensione dei riscaldamenti nelle case.

Tosse secca, congiuntive, rinite e asma sono per tale motivo inquadrate clinicamente non più come malattie stagionali, ma croniche.

Cambiamenti del clima e allergie: qual è il nesso?

Il nesso causa-effetto tra cambiamenti climatici e allergie è al centro dell’attenzione della comunità scientifica. Gli studi, come “Cambiamenti Climatici e Allergie” a cura di CRIVIB (Centro Nazionale per la Ricerca e la Valutazione dei Prodotti Immunobiologici) e Istituto Superiore di Sanità, conducono a un risultato chiaro: la progressiva tropicalizzazione del clima e la scarsità di precipitazioni impattano sull’ecosistema vegetale e hanno effetti sulle persone allergiche.

Chi soffre di allergia si trova esposto per un arco temporale più lungo agli allergeni e ciò prolunga la loro sintomatologia, mentre le scarse piogge e nevicate non riescono ad abbattere la quantità di pollini in circolazione.

La vegetazione cambia e il calendario pollinico è stravolto

La tropicalizzazione delle temperature comporta una fioritura anticipata di piante quali betulla, graminacee, cipresso e olivo e la prolunga nei mesi, favorendo una presenza degli allergeni nell’aria per un tempo più lungo e in una concentrazione maggiore.

Tale premessa comporta i seguenti effetti collaterali:

  • La vegetazione si sposta: per ogni grado di aumento della temperatura la flora avanza da sud a nord di 100 chilometri. In Italia, ad esempio, gli olivi sono più ampiamente diffusi anche nelle regioni del Nord e ciò espone i pazienti a rischio a un maggior numero di allergeni rispetto al passato.
  • Il calendario pollinico è meno preciso: il calendario pollinico è lo strumento che indica la presenza degli allergeni, su base geografica e mediante rilevazioni. Viene usato da medici e pazienti per programmare i periodi di prevenzione e di cura, ma con i cambiamenti del clima in atto subisce variazioni che rendono più difficile la prevenzione.

In quale modo la carbon neutrality può essere un efficace ‘antistaminico’?

Oltre a farmaci e cure prescritte da specialisti dopo la diagnosi di ogni singolo caso, c’è una cura che riguarda tutti noi da più vicino: raggiungere quanto prima la carbon neutrality e dare un taglio drastico alle emissioni di CO2 e di agenti inquinanti.

Senza tale azione repentina e netta, entro pochi decenni si potrebbe registrare un aumento del 200% nella quantità totale di pollini rilasciata dalle piante: un fattore da considerare anche in relazione alla progressiva crescita di intensità delle malattie allergiche.