Il modello delle “Città 30” è un intervento urbanistico che non riguarda soltanto i limiti di velocità – che già di per sé sono fondamentali perché riducono notevolmente il numero di incidenti stradali –, ma rappresenta un modo nuovo di considerare lo spazio pubblico, in cui il cittadino sia di nuovo al centro. Quello di cui abbiamo bisogno, infatti, è un radicale cambio di paradigma che ci faccia smettere di considerare le strade – e quindi le città – come il naturale habitat dei motori, in cui pedoni e ciclisti sono delle minoranze costrette ad adattarsi ai pericoli e alle difficoltà.

Bologna è ufficialmente dal primo luglio una delle cosiddette “Città 30”, quei centri urbani che impongono alle automobili un limite di velocità nettamente inferiore a quello dei 50 km orari solitamente vigente. Dall’entrata in vigore della nuova disposizione comunale, nel capoluogo emiliano il limite di velocità è sceso per circa il 70% delle strade urbane. Si tratta della prima grande città italiana a seguire questa strada che sarà imboccata, nel 2024, anche da Milano, ma centri più piccoli, come Cesena (dal 1998) e Olbia (dal 2021), l’hanno preceduta; e anche molte amministrazioni in tutto il mondo – da Helsinki a Bilbao, a Toronto – hanno già abbracciato questa politica apprezzandone i benefici.

Strade più sicure, per tutti

Tra i principali vantaggi delle “Città 30” spicca innanzitutto la maggior sicurezza per tutti gli utenti della strada, e in primo luogo per i più vulnerabili: pedoni e ciclisti. Lo dimostra, per esempio, la riduzione della mortalità del 70% registrata nelle città francesi che hanno adottato questo limite: Grenoble, Lille (che ha visto crescere del 55% i ciclisti negli ultimi 4 anni), Nantes, Parigi, Nizza, Montpellier e altri 200 centri più piccoli. Edimburgo, in Scozia, invece, ha visto una riduzione del 40% del numero totale di incidenti e del 33% delle vittime, mentre a Bruxelles i sinistri e i conseguenti danni sono ulteriormente calati del 5%.

La maggior sicurezza delle strade a 30 km orari è nota da tempo: già nel 2012 gli studi di Jesùs Casanova, ricercatore di Madrid, avevano rilevato una riduzione del 25% nel numero degli incidenti e della loro gravità. Basterebbe questo per optare per tale limite, considerando che in Italia – dove, peraltro, il tasso di motorizzazione è tra i più alti d’Europa – le vittime della strada nel 2022 sono aumentate del 9% rispetto al 2021 (mentre la media europea è del +3%), con 53 decessi per ogni milione di abitanti. Non a caso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità – che ha dedicato il decennio 2021-2030 proprio al tema della sicurezza stradale – ha sottolineato l’importanza fondamentale delle “Città 30” nella riduzione del numero di morti e feriti dovuto a incidenti e nel raggiungimento di alcuni obiettivi legati alla sostenibilità per il 2030.

Infatti, oltre alle vite risparmiate – di per sé motivo più che sufficiente – c’è poi la componente ambientale. Già gli studi di Casanova dimostrarono una riduzione dello smog: nelle zone con il limite a 50 km orari il picco di emissione dell’auto utilizzata per i test è stato di 2,2 grammi al secondo, mentre è sceso a meno di un grammo al secondo nelle zone a 30 km orari. Si potrebbe obiettare che, riducendo la velocità, aumentino i tempi di percorrenza e quindi anche le emissioni complessive prodotte da ogni spostamento, ma questa deduzione è smentita dai fatti: lo dimostra per esempio Bruxelles dove la velocità ridotta non ha portato ad alterazioni dei tempi di percorrenza, mentre in alcuni casi ci sono stati persino dei lievi miglioramenti grazie alla fluidità del traffico.

Meno traffico, città più vivibili

Oltre a questi aspetti più lampanti, però, ci sono anche dei benefici di carattere sociale ed economico che vale la pena considerare. Gli interventi, infatti, non sono limitati alla velocità, ma propongono un modo nuovo di considerare lo spazio pubblico, in cui il cittadino sia di nuovo al centro e le automobili smettano di essere le padrone assolute della strada, per tornare a essere utenti al pari degli altri. “Città 30”, infatti, vuol dire anche spazi pubblici più democratici, che favoriscono le attività all’aria aperta e la socialità, senza preoccupazioni costanti per la sicurezza o il fastidio dello smog, ma anche livelli di inquinamento acustico drasticamente ridotti. Considerando che le strade rappresentano l’80% dello spazio pubblico urbano, infatti, limiti di velocità più bassi e ampie pedonalizzazioni contribuiscono a ridisegnare l’ambiente cittadino, favorendo sia la mobilità dolce – tradizionale ed elettrica – che gli eventi, i mercati e le attività culturali – di cui beneficiano anche i negozi e, in definitiva, tutta l’economia e la socialità cittadine.

Le iniziative come “Città 30” possono farsi portatrici di un nuovo paradigma per il quale le strade – e quindi le città – non siano più l’habitat dei motori, in cui pedoni e ciclisti sono minoranze costrette ad adattarsi ai pericoli e alle difficoltà; ma, al contrario, diventino spazi condivisi in cui la coesistenza armoniosa tra veicoli a motore, pedoni e ciclisti è possibile, migliorando allo stesso tempo la qualità dell’aria, la salute pubblica e la vivibilità delle città, nel pieno spirito delle smart city. Le strade, quando non più dominate da veicoli motorizzati, rendono le città ambienti più sicuri, sostenibili e orientati alle persone: le “Città 30”, quindi, possono rappresentare il primo passo verso un cambiamento di approccio e del modo stesso in cui viviamo gli spazi pubblici.