Estati torride, piogge torrenziali, fenomeni atmosferici intensi colpiscono i centri urbani, mettendoli alla prova dei cambiamenti climatici. In particolare i centri italiani, caratterizzati da architetture e progettazioni antiche e oggetti sensibili a questi eventi climatici. Qual è lo stato delle nostre città in termini di resilienza ai nuovi impatti ambientali? Moveo lo ha chiesto alla ricercatrice del Centro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici Margaretha Breil.

Estate e vacanze: due termini da sempre “amici” che da qualche anno gli effetti del riscaldamento globale stanno allontanando. Troppo caldo, a causa dei cambiamenti climatici: anche al mare e in certe aree montane, perfino sopra i 1500 metri di altitudine. E in questo davvero l’Italia si è ritrovata unita, trasversalmente da Nord a Sud e soprattutto nel clima dei suoi grandi centri urbani. I mesi estivi del 2023 hanno visto l’asticella del termometro in Italia superare spesso i 40 gradi: non è una sorpresa, il Belpaese è nell’area del Mediterraneo, che è un “hotspot climatico” del Pianeta: uno dei luoghi dove la temperatura cresce molto più della media. Con temperature più alte e periodi siccitosi più prolungati, l’acqua evapora più velocemente: questo fenomeno genera piogge intensissime che in poche ore riversano sul terreno quantità d’acqua pari a quelle cadute in diversi mesi. Come visto, questi impatti sono particolarmente devastanti nelle città: quelle italiane sono poi particolarmente esposte, data la loro età. E la loro posizione geografica: in un Paese segnato dal dissesto idrogeologico che interessa il territorio di oltre il 90% dei comuni italiani. Quali sono quindi gli effetti che i cambiamenti climatici comportano per le città italiane? Moveo ha intervistato Margaretha Breil, ricercatrice del Centro Mediterraneo sui Cambiamenti ClimaticiCMCC, per inquadrare la problematica e presentare ipotesi costruttive per il futuro.

Clima e città italiane: problemi dal passato

I fenomeni estremi osservati in questi mesi estivi sembrano aver trovato particolarmente impreparate al loro impatto le città italiane. Siamo abituati a vederle in difficoltà a causa dei danni inferti dalle alluvioni, ma si parla – correttamente e sempre più spesso – di cambiamenti climatici in assoluto complessi da gestire. «Nella loro complessità gli impatti climatici nelle nostre città vanno comunque gestiti, e l’urbanistica Italiana è in grado di rispondere a questioni complesse – spiega la ricercatrice del CMCC – Fattori che sono indipendenti dai cambiamenti climatici come la crescente cementificazione in Italia e inoltre la cementificazione dei corsi d’acque, la vetustà di infrastrutture urbane, fanno parte dei fattori che rendono la gestione dell’acqua e del calore urbano più difficile. Ma queste sono sono criticità pre-esistenti, tra cui è da indicare anche l’urbanizzazione di aree vicine agli alvei fluviali sulle coste a scapito del sistema duale che potrebbe proteggere l’hinterland da mareggiate». 

Le città italiane e i modelli stranieri

Il problema delle città costiere, protagoniste nella geografia di una penisola dalla storia unica come la nostra ma quanto più esposte proprio per la loro posizione agli effetti dei cambiamenti climatici. 

«Genova forse ha anticipato già all’inizio del secolo l’esperienza di impatti da inondazioni urbane, dovuto alla sua localizzazione geografica e alla sua forma di urbanizzazione lungo e addirittura sopra fiumi e torrenti su pendii ripidi, e sta adesso intraprendendo dei lavori importanti per mitigare questo rischio»

Sul lato opposto, quello di città modello che si stanno attrezzando in modo efficace a fronteggiare i cambiamenti climatici,

«alcune hanno fatto più di altre e tra queste senza dubbio Bologna, ma in generale piani di adattamento urbani sono, in Italia, ancora molto pochi, per non parlare delle implementazioni di misure di adattamento» 

Alle parole della Breil si può aggiungere l’esperienza del Piano Clima di Milano che immaginava azioni di adattamento o le politiche virtuose in un’ottica preventiva promosse a Trento e dalla provincia autonoma di Bolzano. Ma come detto i piani sono ancora poco diffusi, e soprattutto poco applicati. All’estero si sa che quando si parla di politiche climatiche e si sposta l’angolo di osservazione verso nord, non si sbaglia mai. Se pensiamo a città straniere come benchmark di resilienza all’impatto dei cambiamenti climatici guardiamo verso l’area scandinava.

«Stoccolma, ma soprattutto Copenhagen, città iconica per la gestione delle inondazioni con un piano coraggioso creato dopo due esperienze di inondazione urbana. Aggiungerei la città di Barcelona, per citarne una mediterranea, che sta implementando un piano molto intelligente che restituisce strade agli abitanti e concentra il traffico su arterie principali, aumentando il verde urbano, tutto con un occhio alle questioni sociali: rendere i quartieri residenziali più verdi li rende anche più attraenti e più cari.

Barcelona cerca di contrastare possibili processi di gentrificazione (così si chiamano processi di sostituzione di residenti poveri con residenti più abbienti usando valori immobiliari come strumenti di “mercato”) con la costruzione di alloggi pubblici». Un problema, quello della gentrificazione, che interessa da anni Milano e ora sta cominciando a coinvolgere anche Bologna e Roma. E che è una questione di sostenibilità sociale, per cui strettamente legata all’evoluzione dell’agenda ambientale globale secondo gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Più aree verdi e meno consumo di suolo

Come dice all’Huffington Post Antonello Fiore, geologo e presidente della Società Italiana di Geologia Ambientale – SIGEA, «è necessaria una premessa: in Italia, la ricetta per affrontare i cambiamenti climatici non può essere la stessa per ogni città, poiché la nostra penisola e le nostre isole presentano caratteristiche morfologiche molto diverse. È essenziale tracciare un profilo climatico specifico per ciascuna località, in modo da prepararci ad affrontare gli scenari futuri». La ricercatrice del CMCC si trova d’accordo e conferma le raccomandazioni dei suoi colleghi in relazione alla gestione delle acque piovane e la gestione del calore urbano con aree verdi:

«Un nuovo atteggiamento verso il verde nelle aree urbane può dare dei contributi importanti sia per l’uno che per l’altro problema, ma questo richiede spazio, che va tolto ad altre funzioni urbane se non vogliamo continuare il corso alla cementificazione delle periferie»

Bisogna recuperare suolo e non aumentare le costruzioni in orizzontale, che sigillano il terreno impendendo all’acqua piovana di scorrere e seguire i flussi naturali. Ad esempio, le aree già impermeabilizzate potrebbero essere rinaturalizzate o convertite in parcheggi drenanti, e dovrebbero essere potenziate le iniziative di recupero delle acque piovane dai tetti degli edifici e dei grandi capannoni commerciali. In generale, pensando al quadro complessivo delle grandi città del Belpaese, è necessario adottare in modo sinergico anche a livello urbanistico politiche di mitigazione e politiche di adattamento: «Abbiamo disperatamente bisogno di ambedue, e l’uso di “infrastrutture verdi” e aree verdi che all’occasione possano accogliere l’acqua in eccesso può in questo senso rispondere anche a tutt’e due le esigenze, se ci ricordiamo l’impronta di CO2 dell’industria del cemento». Anche per questo la possibilità del PNRR può diventare un’opportunità da cogliere, come spiega Breil:

«Attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza si potrebbe creare un programma di finanziamento per questo tipo di soluzioni, senza procedere ulteriormente alla cementificazione dei corsi d’acqua e delle città con “opere di protezione” che ulteriormente imbrigliano questi corsi»