L’Italia è stata la prima al mondo a rendere obbligatorio lo studio dell’educazione ambientale nelle scuole. Una decisione all’avanguardia che però si scontra con un insegnamento ancora frammentario e diseguale. Per una transizione efficace serve un cambio di mentalità e di cultura, per questo formare giovani e adolescenti attenti alla lotta alla crisi climatica è un’azione fondamentale per salvaguardare il futuro.

Mobilità, agricoltura, energia: sono questi i settori  più responsabili della crisi ambientale e quindi centrali quando si parla di sostenibilità. Ma per una transizione efficace serve un cambio di mentalità e di cultura, per ottenere il quale il mezzo più efficace è l’istruzione, il cui ruolo ai fini della sostenibilità è troppo spesso sottovalutato.

Insegnare l’educazione ambientale per affrontare il futuro

Grazie alla scuola, bambini e adolescenti – che non hanno colpe del climate change, ma che lo subiscono – possono aspettarsi un futuro più verde e più equo e avere un ruolo chiave nel cambiamento e nell’adattamento climatico. La formazione, infatti, permette ai cittadini di oggi e di domani di fare scelte consapevoli: in particolare, se il 16% degli studenti delle scuole superiori ricevesse un’educazione ambientale adeguata, le emissioni carboniche mondiali potrebbero essere ridotte di circa 19 gigatonnellate entro il 2050, perché se si è informati sui problemi che riguardano ambiente e clima e su come contribuire a risolverli, non solo si hanno più strumenti per attuare l’adattamento climatico, ma ci si sente anche più connessi alla natura e quindi più motivati a difenderla. Questo vale per gli adulti, ovviamente, ma ancor più per i bambini, che tra l’altro hanno anche una grande capacità di influenzare positivamente genitori e amici: è proprio durante l’infanzia, infatti, che si formano alcune sensibilità, abitudini e fondamenti per gli stili di vita che ci segneranno per il resto della nostra vita.

La realtà italiana è all’avanguardia ma con grandi disuguaglianze

In Italia, l’insegnamento dell’educazione ambientale è stato reso obbligatorio nelle scuole a partire dall’anno scolastico 2020-2021 come parte del programma di Educazione civica. Sulla carta è una decisione all’avanguardia: siamo stati infatti il primo Paese al mondo a farlo.
A distanza di tre anni, però, le cose non si sono concretizzate secondo i piani, a partire dal percorso di formazione per i docenti: la pandemia ha posto per la scuola problemi più urgenti, a partire dalla didattica a distanza, e le risorse hanno continuato a essere scarse. Complici i cambi di governo, poi, l’educazione ambientale in classe è arrivata a diverse velocità – e con diversi gradi di qualità ed efficacia – tra un istituto e l’altro, tra una città e l’altra. A oggi sono attivi diversi progetti all’avanguardia, come la scuola più sostenibile d’Europa – l’istituto Antonio Brancati di Pesaro – e iniziative efficaci e stimolanti, ma la situazione sul territorio nazionale è molto diseguale. Una parte del problema è proprio la preparazione degli insegnanti: seppur senza nozioni teoriche, spesso i ragazzi sono attenti e mostrano la sensibilità propria della loro generazione, ma hanno bisogno di guide competenti e piani pedagogici adeguati. Un altro problema è la potenziale vastità del programma d’insegnamento, da condensare nella sola ora settimanale di Educazione civica, da dividere con gli altri temi: Costituzione ed Educazione digitale. Gli argomenti potenzialmente correlati sono tanti – il ministero, infatti, parla anche di educazione al patrimonio culturale, cittadinanza globale, solidarietà, legalità e dialogo interculturale – e il rischio di non trattarli adeguatamente è reale. Intanto, ragazzi e famiglie possono premere sulle scuole per avere progetti sulla sostenibilità, ma di sicuro serve un’educazione ambientale efficace, guidata da formatori esperti e programmi pedagogici aggiornati.

È fondamentale, oltre ad agire per frenare la crisi climatica, garantire l’accesso all’istruzione tutta – sempre, anche in caso di alluvione, incendio, tifone o caldo estremo – e all’educazione ambientale in particolare
. I governi devono occuparsene, con fondi dedicati e dialogo con i dirigenti scolastici, perché la conoscenza è il primo strumento per gestire la crisi climatica, incidendo positivamente sulla società, un passo alla volta, a partire dalla comunità in cui si vive, nel nome della condivisione, per fare le scelte migliori quanto a mobilità, consumi e alimentazione e dialogando con gli altri, compresi i più piccoli.