Il cambiamento climatico è disastroso per l’ambiente e socialmente ingiusto: colpisce duramente le popolazioni più deboli, lasciando indenni (o quasi) i Paesi che maggiormente ne sono la causa. Da tale assunto prende vita il concetto di giustizia climatica che include anche il tema dell’equità sociale.

Gli attivisti e i governi sensibilizzati sono allertati da dati che parlano chiaro: la deforestazione incide per l’11% sulle emissioni di gas serra a livello globale, l’agricoltura invece per il 21%. Ciò significa che coltivazioni intensive, susseguenti a disboscamenti e con massiccio impiego di prodotti chimici, da un lato causano la progressiva infertilità del suolo e l’inquinamento ambientale e dall’altro impoveriscono le popolazioni locali.

Le conseguenze sono l’insorgere di fenomeni climatici estremi (siccità e inondazioni) e il calo del reddito delle persone che da quelle terre dipendono. Come confermano i dati che dicono che quasi il 50% dell’alimentazione mondiale dipende dall’agricoltura familiare e dai piccoli produttori, percentuale che sale all’80% nei Paesi più poveri.

Che cos’è la giustizia climatica?

La giustizia climatica affonda le sue origini nel movimento di “giustizia ambientale” nato negli anni ’80 del XX secolo negli USA. Alcuni studi compiuti dimostravano come la gestione dei rifiuti nelle grandi città penalizzasse le zone più povere: qui venivano stoccati tutti i rifiuti prodotti negli altri quartieri, contribuendo a peggiorare il degrado sociale.

Nacquero così i primi movimenti di protesta spinti dalla volontà di combattere tale fenomeno e dal desiderio di far emergere le altre situazioni analoghe. I gruppi di ricerca hanno col tempo mostrato che, ovunque nel mondo, le comunità marginalizzate sono le più esposte ai problemi derivanti da:

  • Gestione di rifiuti pericolosi;
  • Estrazione di risorse primarie e di terre rare;
  • Sfruttamento del terreno;
  • Surriscaldamento globale.

Quali sono i valori promossi dalla giustizia climatica?

Oggi si parla di giustizia climatica in modo ampio comprendendo nel concetto anche quello di giustizia sociale e ambientale. Il motivo è semplice: le comunità storicamente meno responsabili dell’innalzamento delle temperature sono le più colpite dai fenomeni climatici estremi. Ad esempio, le popolazioni della fascia tropicale dove è più ricco il patrimonio di biodiversità sono maggiormente esposte agli effetti del cambiamento climatico e pagano le conseguenze di azioni compiute da altri. A ciò si aggiunge che piccole comunità dedite ad agricoltura o pesca, che vivono dei prodotti dell’ambiente, non hanno i mezzi per affrontare i disastri derivanti dal mutamento del clima.

L’importanza della giustizia climatica sta proprio nell’avere acceso i riflettori dell’attenzione pubblica sul bisogno urgente di equità sociale ed economica in risposta alle disparità create dal cambiamento climatico in atto. Del resto, i temi della sostenibilità ambientale e della finanza responsabile sono ormai indissolubilmente legati. È necessario supportare i Paesi più svantaggiati a compiere scelte green e sostenibili e al contempo occorre che i Governi si impegnino a investire per aiutarli a diventare più flessibili e resilienti.

La risoluzione ONU per una sostenibilità equa e giusta

Le Nazioni Unite, a marzo 2023, hanno approvato una risoluzione sulla giustizia climatica. Più di 130 Stati, tra i quali l’Italia, hanno votato a favore di una mozione sponsorizzata dalla nazione di Vanuatu, un’isola del Pacifico, climaticamente vulnerabile. Nel documento si chiede alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) di pronunciarsi sugli «obblighi che incombono sugli Stati» per proteggere il sistema climatico «per le generazioni presenti e future» e di individuare le conseguenze legali da affrontare per i governi inadempienti.

In altre parole, la risoluzione chiede di stabilire gli obblighi dei Paesi nei confronti del climate change e il pronunciamento della CIG potrebbe essere citato nei casi giudiziari che hanno come oggetto gli effetti del clima.

«Per alcuni Paesi le minacce climatiche sono una condanna a morte. In realtà, è l’iniziativa di questi Paesi, a cui si sono uniti molti altri, insieme agli sforzi dei giovani di tutto il mondo, che ci unisce» ha dichiarato Il Segretario generale dell’ONU António Guterres.