La mano bionica, oggi, è una protesi perfettamente simile- in termini di efficienza e funzionalità- a un arto umano. Ed è la dimostrazione più concreta di come la ricerca scientifica possa effettivamente incidere sulla qualità della vita di chi ha una disabilità. 

La perdita di un arto impatta in maniera determinante sulla vita quotidiana di una persona. Spesso, chi è costretto a subire un’amputazione, tende a perdere le speranze di poter riconquistare la propria “normalità”. Ma grazie alle tecnologie più moderne, oggi le innovazioni progettate dagli ingegneri biomedici sono una realtà concreta.

La mano bionica è la soluzione per chi sogna di riprendersi la liberta di viaggiare senza barriere. Di guidare senza limitazioni. Di “accarezzare” la quotidianità, in tutte le sue sfaccettature.

Che cos’è la mano bionica e come può migliorare la qualità della vita

La mano bionica è una protesi composta principalmente da due elettrodi che- dopo aver rilevato il segnale bioelettrico- possono collegare il cervello all’arto artificiale. I segnali bioelettrici, dunque, vengono inviati al “sistema di controllo” dell’arto artificiale, consentendone, in tal modo, il funzionamento.

L’arto è dotato di cinque motori elettrici che consentono il movimento delle dita. La mano bionica, così, è in grado di aprirsi e chiudersi. Di afferrare e posare oggetti. E, perché no, persino di attivare i dispositivi di guida per disabili. Come le leve per l’accelerazione o la frenata manuali. O le centraline di azionamento di servizi e comandi dell’auto. Tutti sistemi che anticipano il concept di guida autonoma, destinata a rivoluzionare la mobilità del futuro.

In tal senso, la ricerca neuroprotesica continua a dare il proprio contributo, ponendo attenzione soprattutto sul tema del recupero delle capacità sensoriali grazie anche all’utilizzo di interfacce neurali.

Le principali tipologie di mano bionica 

L’intelligenza artificiale sta contribuendo in maniera notevole alla realizzazione di una società più equa e accessibile. Oggi, i progressi fatti sugli arti robotici consentono alla tecnologia di adattarsi alle esigenze specifiche. Ecco le principali tipologie di mano bionica:

  • Be Bionic: è un arto dotato di estrema precisione e potenza. È in grado di mantenere e afferrare qualsiasi tipo di oggetto;
  • Michelangelo: è un arto perfetto per guidare, cucinare e scrivere. La mobilità del polso rende questa mano bionica perfettamente simile a un arto umano;
  • Digits quantum: è una tecnologia adatta a chi ha perso parzialmente l’arto;
  • I-Limb: è un arto artificiale ottimo per il controllo e la presa di oggetti;
  • MyoPlus: è una mano bionica dotata di un particolare sistema tecnologico che le consente di adattarsi all’utente.

Da LifeHand a Sensibilia: le prime protesi artificiali

Era il 2008. E per la prima volta un paziente riuscì a muovere una mano bionica utilizzando la propria mente. LifeHand è stata dunque la prima protesi artificiale in grado di rispondere agli impulsi cerebrali. Frutto di un progetto finanziato dall’Unione Europea con il coordinamento della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Da allora, la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante. Nel 2014 è stata sperimentata LifeHand 2. La prima mano bionica indossabile, che restituisce all’amputato le sensazioni tattili. Simili a quelle di un arto naturale. Anche in questo caso, il risultato è stato possibile grazie alla collaborazione di università e istituti di ricerca a livello europeo. Tra cui: l’Università Campus Bio-Medico, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’IRCSS San Raffaele di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto IMTEK dell’Università di Friburgo.

Infine, nel 2019 nasce Sensibilia. Una mano bionica che ha dimostrato di riuscire a effettuare movimenti complessi, adattandosi perfettamente alle esigenze di chi la utilizza.

Mia Hand, la mano bionica direttamente collegata a muscoli e nervi 

Aveva perduto l’arto oltre vent’anni fa, a causa di un incidente agricolo. Ma oggi, la nuova mano bionica collegata direttamente– e in maniera permanente- ai muscoli e ai nervi, le ha consentito di ricominciare a muoversi in maniera naturale. Alleviando anche il disturbo causato dalla sindrome dell’arto fantasma.

Il suo nome è Mia Hand. Ed è stata sviluppata dall’azienda Prensilia in modo da personalizzarne persino le componenti estetiche. Questa mano bionica- realizzata dall’australiano Bionics Institute e dal Centro svedese per la Bionica e la Ricerca sul futuro– è il risultato del progetto europeo DeTop. Si tratta di un progetto di ricerca e innovazione finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020. Che mette al centro la tecnica dell’osteointegrazione, combinata a interfacce neuromuscolari.

In sostanza, questa tecnica di ancoraggio osseo è in grado di creare collegamenti bidirezionali tra l’uomo e la protesi robotica. I nervi e muscoli rimasti nell’arto vengono utilizzati per fornire alla protesi tutte le informazioni indispensabili per il movimento. Garantendo al contempo un sensibile miglioramento delle funzionalità motorie e percettive della persona che ha subito un’amputazione.

La mano bionica è una soluzione innovativa per la mobilità inclusiva 

Le nuove tecnologie, dunque, sfidano barriere fisiche e culturali, utilizzando ricerca e innovazione per migliorare indistintamente la qualità della vita. Sugli arti artificiali, la perseveranza e la dedizione degli atleti paralimpici, in un certo senso, hanno fatto da apripista. Dimostrando che è possibile continuare a muoversi, a sognare e a vincere, al di là di qualunque condizione.

Gli studi attualmente consentono a una mano bionica di riprodurre movimenti e sensazioni di un arto naturale. Migliorando il benessere psicologico, l’efficienza e la sicurezza di chi utilizza l’arto artificiale.

Grazie a questa innovazione, chi ha subito un’amputazione oggi ha la possibilità di utilizzare autonomamente i servizi di trasporto pubblico locale. Di viaggiare utilizzando un’automobile, conservando le sensazioni tattili alla guida. Un’ulteriore prova- se mai ce ne fosse stato bisogno- che la mobilità del futuro non può più prescindere dai concetti di inclusività e accessibilità.