Oggi, almeno nei Paesi più avanzati, ci sono tecnologie e mezzi per permettere a tutti di lavorare e inquinare meno, e vivere meglio. Tuttavia, ci rifiutiamo di organizzare il lavoro e la società per raggiungere un benessere comune. Dobbiamo ridisegnare l’intero sistema, a partire dal nostro modello di vita, per coltivare sane abitudini, godendo di un’esistenza appagante secondo una diversa scala di valori e con un minore impatto sull’ambiente.

Per decenni ci è stato insegnato che dobbiamo lavorare il più possibile, per fare carriera, guadagnare e permetterci piccoli e grandi lussi. Oggi, però, questo assunto viene messo in discussione: abbiamo, infatti, iniziato a capire che il consumo non porta di per sé la felicità, al massimo una temporanea soddisfazione, insieme a sprechi e inquinamento; e così, sempre più persone aspirano a vivere meglio secondo nuovi valori, dato che gli strumenti per farlo ci sono, ma spesso non vengono usati.

Lavorare meglio per inquinare meno. Una sfida del presente

La pandemia, che ad alcuni ha regalato più tempo, per altri ha rappresentato la difficoltà di segnare una linea netta tra lavoro e tempo libero, che insieme alla privazione di svaghi ha innescato una riflessione radicale: abbiamo riscoperto l’importanza della qualità della nostra vita.
Alla luce di questa consapevolezza, anche chi non può o non vuole lasciare il lavoro d’ufficio, per reinventarsi possibilmente più in linea con i propri valori, deve poter vivere meglio e la modalità ibrida tra casa e luogo di lavoro dimostra che un’altra organizzazione è possibile. Almeno nei Paesi più industrializzati, infatti, ci sono tecnologie che permetterebbero a tutti di lavorare e di inquinare di meno, pur mantenendo lo stesso stile di vita, eppure non sono ancora sufficientemente adottate.

Il lavoro in ufficio è reso sempre più rapido ed efficiente da email, videochiamate, pagamenti online, firme digitali e condivisioni di documenti, ma la tecnologia ha alleggerito e automatizzato anche i lavori manuali dell’industria. Sono innovazioni che, sulla carta, permettono di ridurre l’impatto ambientale del lavoro, anche se si stima che per contrastare la crisi climatica la settimana dovrebbe ridursi a circa 5 ore lavorative – una cifra al momento irrealistica, ma che indica una chiara direzione verso cui tendere. Chi lavora meno, infatti, ha un’impronta ecologica ridotta perché consuma meno energia, acquista meno beni superflui e ha più tempo per ripensare al proprio stile di vita e coltivare sane abitudini.

Perché è sempre più urgente costruire città “smart”

I sistemi integrati di smart e green mobility rendono poi gli spostamenti più rapidi, l’aria più pulita e le città più verdi, ma andrebbero implementati e diffusi, anche incentivando la conversione all’elettrico, investendo nelle infrastrutture necessarie, rafforzando la rete di trasporti pubblici urbani e di car e bike sharing, con reti wifi gratuite distribuite sul territorio, per cambiare profondamente l’organizzazione dei centri urbani, i nostri flussi e la nostra vita.
Finora, infatti, il nostro modo di muoverci è stato ben poco “smart” e continua a esserlo. La contrazione dell’import di energia e l’aumento delle fonti fossili hanno infatti segnato un incremento nelle emissioni di CO2 dell’ultimo anno, ma la forte ripresa dei volumi di traffico di passeggeri e merci su strada non deve vanificare l’obiettivo delle zero emissioni nette.
Alla luce di questi dati sono sempre di più le città che stanno facendo passi verso una mobilità sostenibile e, di conseguenza, anche elettrica, connessa, autonoma e condivisa, necessaria per rendere il sistema dei trasporti realmente sostenibile. Se tra le prime tre realtà italiane pronte a ridisegnare gli spazi urbani a “misura di persona” – agendo sugli assi della transizione ecologica, dello sviluppo digitale e dell’inclusione sociale – spiccano Milano, Torino e Bologna; secondo i dati emersi dall’ultimo Osservatorio Smart City del Politecnico di Milano, in generale, si conta ben un comune italiano su tre ad aver avviato un progetto in ambito smart city nell’ultimo anno. Una percentuale che sale al 50% per quelli con più di 150mila abitanti e che vede diversi ambiti di applicazione: dal monitoraggio ambientale all’illuminazione pubblica, dalla videosorveglianza urbana alla gestione intelligente di parcheggi e servizi come le aree a traffico limitato.
Gli investimenti riguarderebbero soprattutto interventi di digitalizzazione e innovazione, infrastrutture sostenibili e transizione ecologica, come l’efficientamento energetico degli edifici pubblici, le reti di teleriscaldamento e le azioni sul trasporto pubblico locale.

Con la smart mobility si produrrebbe inoltre anche una quantità di dati tale da permettere, se ben gestiti, di razionalizzare il sistema dei trasporti e dare slancio a nuovi business. Il tempo risparmiato negli spostamenti, poi, può essere impiegato in altre attività, concedendoci un maggiore controllo.

La discussione, oggi come oggi, non dovrebbe fermarsi alla tecnologia, ma spingerci a mettere da parte il nostro volere sempre di più. Perché senza un progetto di benessere comune, senza un modo di distinguere il progresso virtuoso da quello che ci tiene saldamente ancorato all’ascensore edonistico, l’inerzia che ci guida oggi non ci permetterà mai vivere un’esistenza più appagante e con un minore impatto sull’ambiente.
Sappiamo che è possibile, eppure, si fa ancora resistenza verso la riorganizzazione del lavoro e della società ignorando a vari livelli l’insostenibilità dell’attuale paradigma socio-economico. È sempre più urgente trovare allora un equilibrio che trasformi le città in luoghi in cui sia sano – e piacevole – vivere.