Il turismo di massa, oltre ad avere un enorme impatto ambientale, sta semplificando il paesaggio in cui ci muoviamo, appiattendo luoghi anche molto diversi del mondo su esigenze turistiche preconfezionate, che non ne valorizzano le peculiarità. Viaggiare in modo sostenibile significa anche contrastare questa serializzazione del paesaggio, adattando la propria partenza agli equilibri – ambientali, sociali, culturali – della meta scelta, per inserirvisi nel modo più rispettoso possibile e preservarne l’identità.
Quando viaggiamo, spesso non scegliamo una destinazione soltanto per la sua bellezza, guardando una foto, una cartolina o il depliant di un’agenzia turistica. Ciò che ci attrae di determinato luogo, facendo nascere in noi il desiderio di visitarlo, è anche l’unicità dell’incontro tra uomo e natura, tra la cultura di una comunità e le fattezze fisiche di un territorio: un equilibrio che può assumere un’immensa varietà di forme e che percepiamo come un elemento irripetibile, qualcosa che possiamo trovare lì, ma non altrove. L’impulso che ci invoglia a conoscere nuovi luoghi del mondo deriva dunque da questo intreccio inscindibile, che porta con sé numerosi significati e stratificazioni – di saperi, valori e patrimonio storico.
Eppure i cambiamenti che si stanno verificando di recente nel settore turistico costituiscono un rischio per questo legame tra luogo e comunità, oltre che per il senso stesso che diamo ai nostri viaggi. La globalizzazione culturale, intesa come omologazione dei comportamenti, delle abitudini e dei consumi, che considera il mondo come un unico mercato a cui applicare strategie comuni, si proietta infatti anche sul nostro modo di viaggiare, e così sui paesaggi, modificandoli per renderli il più fruibili possibile, e rischiando di appiattirne qualsiasi tratto di unicità.
Luoghi a rischio omologazione
Le ripercussioni socio-culturali dei flussi turistici sono diventate sempre più evidenti a partire dal periodo post-pandemico, quando il desiderio di evasione, alimentato da mesi di lockdown, ha nutrito un fenomeno che è stato chiamato “revenge tourism”. Questo approccio bulimico al viaggio ha portato molti visitatori a trattare le mete delle proprie vacanze come prodotti usa e getta, da visitare – o meglio da consumare – in serie, pretendendo di recuperare il tempo perduto nei precedenti due anni di semi immobilità.
Il turismo “di rivalsa” si è riversato in luoghi molto diversi tra loro, sia in Italia che nel resto del mondo: dalle mete classiche, come le località di mare e montagna (che quest’anno hanno accolto un milione di visitatori in più solo tra gli italiani), fino a quelle incontaminate – come i poli o la Groenlandia –, passando per le città d’arte (che nel nostro Paese, per esempio, hanno registrato oltre 5,5 milioni di turisti in più rispetto al pre-pandemia). L’Italia è infatti un esempio lampante in tal senso, dato che città come Venezia, Napoli o Firenze, così come i lidi e i siti conosciuti in tutto il mondo per il loro valore naturalistico e/o culturale stanno subendo una capitalizzazione sempre più indiscriminata, che spinge i turisti a vivere la loro permanenza come una sorta di visita in un parco divertimenti, una customer experience in cui tutto è attrezzato per le loro esigenze – senza rendersi conto che questo, il più delle volte, va a discapito dei residenti e del paesaggio stesso.
Il turismo massificato tende infatti a ridurre tutte le destinazioni a dei luoghi standard, assimilabili a una categoria d’interesse – viaggio esotico, rilassante, d’avventura, per famiglie – in cui vengono messe a disposizione infrastrutture, promozioni e proposte di attività pressoché identiche, che adattandosi a necessità di intrattenimento preconfezionate non possono che determinare una perdita identitaria.
Riscoprire l’unicità del viaggiare
Nonostante il termine “sostenibilità” venga istintivamente associato primariamente all’impatto ambientale di un viaggio, esso comprende in realtà anche una particolare attenzione ai danni culturali e sociali che possiamo arrecare involontariamente ai luoghi che visitiamo. Parlare di turismo sostenibile significa, infatti, tornare al senso originario del viaggiare: ovvero quello della scoperta, dell’imprevedibilità, della ricerca dell’inatteso, che spinge a esplorare ecosistemi sconosciuti per godere di ciò che di unico custodiscono. Questo tipo di turismo, infatti, si basa sull’idea di differenziare il proprio modo di muoversi, adattandolo agli equilibri del luogo scelto, invece di agire su di esso per modularlo sulle esigenze dei visitatori.
Per preservare e rafforzare quell’incontro con il diverso che nutre il nostro desiderio di viaggiare, è dunque necessario passare un approccio consapevole, informato, preceduto da uno studio accurato della meta verso cui vorremmo partire, che permetta di minimizzare il nostro impatto su di essa e al contempo di massimizzare il portato emotivo e valoriale della nostra esperienza, attraverso la scoperta delle sue peculiarità. La scelta di viaggiare in modo sostenibile contribuirà così a tutelare l’identità dei luoghi che visitiamo, sostenendo il principio fondamentale per cui l’essere umano deve inserirsi nel modo più rispettoso possibile nelle dinamiche caratteristiche di un luogo – e, per estensione, dell’intero pianeta –, secondo una logica di reale valorizzazione e non di sfruttamento.