Secondo quanto riportato nell’edizione 2023 di Mal’Aria, il report annuale di Legambiente sullo stato dell’inquinamento atmosferico nel nostro Paese, durante il corso del 2022 si sono registrati modesti miglioramenti nella qualità dell’aria delle maggiori città italiane. Tuttavia, non è ancora abbastanza: oltre il 30% dei capoluoghi di provincia monitorati hanno superato più volte i limiti giornalieri di polveri sottili nell’aria (PM10 e PM2.5) previsti dalle direttive nazionali attualmente in vigore, ponendo seri rischi non solo per la salute del nostro Pianeta, ma anche per la nostra.

Situazione simile è quella descritta dal Rapporto MobilitAria 2023, curato da Kyoto Club e CNR-IIA, nel quale emerge un progressivo aumento, rispetto all’anno 2021, della concentrazione di biossido di azoto (NO2) in quasi tutte le città italiane considerate. Ecco perché è sempre più urgente cominciare ad implementare azioni concrete e incisive per migliorare la qualità dell’aria cittadina e, soprattutto, ripensare in modo radicale il modo in cui ci muoviamo.

Di inquinamento si può morire e no, non si tratta di mero allarmismo: basti pensare che, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), in Italia oltre 80 mila persone muoiono prematuramente ogni anno a causa dell’esposizione ad agenti inquinanti quali particolato sottile (PM2,5 e PM10), ozono (O3) e biossido di azoto (NO2). Un numero di decessi che mette il Belpaese al primo posto nella classifica dei Paesi europei con il più alto numero di decessi da smog. E, se questo non fosse abbastanza, non dobbiamo dimenticarci neppure degli ingenti danni ambientali causati dallo smog al nostro Pianeta e ai delicati equilibri che ne regolano i suoi preziosi ecosistemi.

Purtroppo, però, risposte concrete e incisive a questa problematica così urgente e delicata tardano ad arrivare: secondo Mal’Aria, l’ultimo report di Legambiente sul tema dell’inquinamento atmosferico nella Penisola, oltre il 30% dei capoluoghi di provincia italiani hanno registrato una concentrazione media giornaliera di polveri superiore a 50 microgrammi/metro cubo per più di 35 giorni all’anno, superando così i limiti posti dall’attuale normativa in vigore sul tema (Decreto Legislativo 155/2010). Tra questi spiccano per negligenza Torino, Milano, Modena, Asti, Padova e Venezia, con più del doppio degli sforamenti consentiti.

Al tempo stesso, sembra sempre più lontano anche il raggiungimento dell’obiettivo di emissioni zero entro il 2030 previsto dal Green Deal europeo. Nonostante il report Mobilitaria 2023 riveli come negli ultimi 15 anni si siano registrati modesti miglioramenti nella qualità dell’aria delle 14 maggiori città metropolitane italiane, al ritmo attuale potremmo raggiungere questo ambizioso obiettivo non prima del 2040.

Ecco dunque che appare sempre più urgente mettere in atto azioni concrete ed incisive per ridurre i livelli di emissione di biossido d’azoto e particolato sottile nell’atmosfera, ed avvicinarsi così ai target europei e nazionali. A questo proposito, un ruolo chiave è quello ricoperto dal settore dei trasporti, responsabile di circa un quarto delle emissioni totali di CO2 in Europa, di cui il 71,7% imputabile soltanto al trasporto stradale.

Basti pensare che nel 2020, a causa delle rigide misure di contenimento rese necessarie dalla pandemia da COVID19, si sono riscontrate riduzioni marcate delle concentrazioni del biossido di azoto e PM10 nelle maggiori città italiane, avvalorando ancora una volta l’esistenza di un legame diretto tra mobilità urbana e qualità dell’aria.

In questo articolo, scopriremo qual è il rapporto tra mobilità e qualità dell’aria e vedremo che cosa sta cambiando negli ultimi anni a riguardo, sia da un punto di vista normativo che di politiche pubbliche messe in atto per arginare il problema.

Quali sono le principali cause dell’inquinamento atmosferico?

Prima di esplorare il nesso tra qualità dell’aria e mobilità urbana e vedere quali sono i principali cambiamenti verificatisi negli ultimi anni a livello nazionale ed europeo, è necessario fare una breve panoramica sulle principali cause dell’inquinamento atmosferico.

La prima cosa da evidenziare è che si tratta di un problema complesso e multifattoriale, in parte causato dall’emissione di sostanze inquinanti nell’atmosfera originate da una serie di processi naturali e, in misura più considerevole, da quelle derivanti da diverse tipologie di attività umane, tra cui le attività industriali e manifatturiere, l’agricoltura, la generazione di energia e, come accennato in precedenza, il traffico veicolare.

Quest’ultimo è infatti tra le principali fonti di inquinanti atmosferici rilasciati sopra nelle vicinanze delle aree urbane. I veicoli a motore, specialmente quelli con motori a combustione interna che utilizzano carburanti fossili, emettono ossidi di azoto (NO2), particelle inalabili e sottili (PM10 e PM2.5, particelle con diametro uguale o inferiore rispettivamente a 10 micrometri e 2,5 micrometri, ovvero dieci milionesimi di metro), monossido di carbonio (CO) e idrocarburi.

Come accennato in precedenza, questi elementi chimici possono provocare danni anche di grave entità per la salute umana, quali disturbi respiratori, tumori, problemi gestazionali e, nei casi più estremi, la morte (secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 7 milioni le morti premature nel mondo attribuibili all’inquinamento dell’aria), oltre a contribuire al problema dello smog fotochimico e delle piogge acide, con effetti a cascata sui diversi ecosistemi presenti all’interno della biosfera.

Come misurare la qualità dell’aria?

Diversi sono gli indicatori utilizzati per misurare la qualità dell’aria in Italia. In particolare, la misurazione dei livelli di PM10 e PM2.5 (le cosiddette “polvere sottili”) e di NO2 nell’atmosfera – che può avvenire sia mediante l’utilizzo di stazioni di monitoraggio dislocate strategicamente nelle città e nelle aree urbane, che di sensori avanzati posti su speciali veicoli, droni o persino indossati dalle persone – fornisce una proiezione accurata e di semplice comprensione per quanto riguarda la qualità dell’aria in una determinata località, nonché le sue variazioni nel tempo.

Tali indicatori sono utilizzati anche per verificare il rispetto delle normative nazionali in materia di inquinamento atmosferico e di qualità dell’aria, che fissano a 35 il numero massimo di giorni all’anno in cui è consentito il superamento della soglia di 50 mcg di PM10, nonché ai fine della compilazione dei report di Legambiente e del Kyoto Club precedentemente citati.

Inoltre, uno strumento molto utile per fotografare la qualità dell’aria nel nostro Paese (ed in molti altri Paesi del Vecchio Continente) è il cosiddetto European Air Quality Index (“Indice Europeo della Qualità dell’Aria”), in grado di raccogliere e catalogare in tempo reale dati sull’inquinamento atmosferico da PM10 e PM2.5 provenienti da più di 3.500 stazioni di monitoraggio presenti nelle maggiori città europee.

Qualità dell’aria e mobilità urbana: qual è la situazione attuale e che cosa sta cambiando?

Che la scarsa qualità dell’aria rilevata nelle principali città italiane sia strettamente connessa all’inquinamento provocato da spostamenti urbani poco sostenibili è ormai un dato di fatto: non a caso, il Rapporto MobilitAria 2023 vede nel cosiddetto deficit di mobilità sostenibile registrato sul suolo nostrano, ovvero la scarsità di sistemi di trasporto a basso impatto ambientale, una delle principali sfide da risolvere per favorire il rispetto dei limiti imposti dalle normative nazionali ed europee sulla qualità dell’aria.

I risultati dello studio, nel quale viene analizzata la qualità dell’aria nelle 14 maggiori metropoli italiane nel corso del 2022, rivela che le concentrazioni di biossido di azoto (NO2) sono aumentate in maniera progressiva rispetto all’anno precedente. Fenomeno che trova parziale spiegazione nel fatto che, dopo le restrizioni imposte nel periodo pandemico, il trasporto pubblico ha avuto difficoltà a ritrovare slancio, mentre l’uso dell’automobile è rimasto predominante per i trasporti in ambito urbano.

Inoltre, analogamente a quanto riportato nel report di Legambiente Mal’Aria, sebbene in tutte le città analizzate la concentrazione media annua di PM10 nell’anno 2022 sia risultata inferiore rispetto a quella registrata negli anni precedenti, la situazione cambia quando si analizzano i dati raccolti nei singoli capoluoghi di provincia presi in considerazione. In particolare, 29 delle 95 città esaminate hanno superato il limite di 35 giorni di sforamento previsti per il PM10. Sul podio Torino con 98 sforamenti, seguita da Milano con 84, Asti con 79, Modena con 75 e, infine, Padova e Venezia, entrambe a quota 70.

Se prendiamo, invece, come riferimento i target europei previsti per il 2030 dalla proposta di modifica delle direttive sulla qualità dell’aria presentata dalla Commissione Europea lo scorso 26 ottobre, in cui si richiede l’abbassamento della quantità di PM10 ammissibili dagli attuali 40 µg/mc a 20µg/mc e quella di PM2.5 a 25 μg/m3, ben il 76% delle città italiane non risulta attualmente in linea per quanto riguarda le PM10, mente l’84% per le PM2.5.

Come se non bastasse, va specificato che questa proposta deve essere considerata solo come una tappa intermedia sulla strada verso il raggiungimento delle linee guida suggerite dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per la tutela della salute umana e della vivibilità degli spazi urbani, che ipotizzano un ulteriore abbassamento delle soglie annuali di particolato fine (PM2.5) da 25 a 5 µg/m3 e di quelle del particolato inalabile (PM10) da 20 a 15 µg/m3.

Qualità dell’aria in Italia: cosa possono fare le città per promuovere una mobilità urbana più “pulita”?

Se la qualità dell’aria delle maggiori città italiane è ancora molto lontana dagli standard stabiliti a livello europeo e internazionali, soprattutto in confronto a quella di città quali Umeå in Svezia e Faro e Funchal in Portogallo, che sono state dichiarate per due anni consecutivi (2020 e 2021) le “città più pulite d’Europa”, la buona notizia è che il margine di miglioramento è molto ampio.

In particolare, le amministrazioni comunali dovranno cominciare ad agire in modo più lungimirante ed incisivo, soprattutto per quanto riguarda il settore della mobilità urbana che, come abbiamo visto in precedenza, è tra i maggiori responsabili dell’inquinamento atmosferico da polveri sottili.

In tal senso, lo stesso rapporto di Legambiente citato poco fa propone diverse soluzioni che promettono di aiutare a migliorare in modo concreto e tempestivo la qualità dell’aria cittadina. Tra queste, l’aumento delle cosiddette Zero Emission Zone (ZEZ), ovvero aree urbane ad emissioni zero, e Low Emission Zone (LEZ), zone ad emissioni controllate, due versioni potenziate delle cosiddette ZTL (Zone a Traffico Limitato) che sono purtroppo risultate inadeguate negli ultimi decenni ad arginare il problema dell’inquinamento atmosferico.

Esempi di queste zone a limitate emissioni si possono trovare nell’area metropolitana di Milano, città che non brilla certamente per qualità dell’aria (basti pensare che la quantità di PM10 registrata sul suolo urbano supera di quasi quattro volte la soglia di 10 μg/m³ indicata dall’Oms a tutela della salute della popolazione), ma che negli ultimi anni si sta impegnando ad implementare diverse soluzioni atte a limitare le emissioni di polveri sottili nell’atmosfera, ponendosi così come modello anche per le altre metropoli nostrane.

Tra queste, l’Area B, che copre quasi tutta l’area urbana e limita e/o vieta, a seconda dei casi, la circolazione dei mezzi più inquinanti e l’Area C, entro la quale possono circolare soltanto i veicoli meno inquinanti previo il pagamento di una piccola commissione di 5 euro.

Forti investimenti sono stati fatti anche per estendere la rete di mezzi pubblici entro e fuori il perimetro cittadino, con una forte spinta verso l’elettrificazione dei mezzi di trasporto (sia pubblici che privati), nonché per diffondere e rendere più accessibili i servizi di bike e car sharing e per potenziare la rete di piste ciclabili presenti in città, tutti sforzi che hanno fatto guadagnare al capoluogo meneghino la diciottesima posizione nella classifica redatta dall’Oliver Wyman Forum e dell’Università di Berkeley per quanto riguarda le città con i migliori sistemi di mobilità pubblica.