Alla scoperta della struttura lombarda che recupera i materiali rari dalle batterie. Un luogo unico in Italia, cuore del processo di rigenerazione di una delle componenti chiave del futuro delle auto elettriche: qui si estraggono attraverso processi chimici gli elementi rari contenuti nelle “black mass” dei moduli di alimentazione. Ecco il racconto di come funziona, in questo reportage di Moveo a Pavia
L’auto elettrica è forse la maggiore rivoluzione della mobilità del nuovo millennio. Ma c’è un però. Anzi due: come reperire l’elettricità per alimentarla e, non meno importante, capire come rendere sostenibili le sue batterie, che contengono tanti elementi rari e, se non correttamente gestiti, potenzialmente inquinanti. Una risposta arriva dal più importante laboratorio italiano per il riciclo delle batterie agli ioni di litio (quelle, per capirci, ad alimentazione elettrica) sia nato nel 2023 all’interno del Dipartimento di Chimica dell’Università di Pavia, l’Ateneo che con i suoi 700 anni è il più antico della Lombardia e uno dei più antichi d’Europa.
Arrivati nel capoluogo lombardo, costeggiando le strutture accademiche che si dipanano lungo i dintorni di via Taramelli, è facile perdersi nella vastità quasi labirintica dei dipartimenti dell’Ateneo. In quello di Chimica, i professori Eliana Quartarone (Università di Pavia) e Piercarlo Mustarelli (Università di Milano Bicocca) ci guidano alla scoperta di R2BATT. All’ingresso, una macchina che sembra custodire il cuore meccanico di Iron Man (quello mostrato nell’immagine principale di questo articolo) e che invece si occupa di realizzare una specie di radiografia senza immagini degli elementi chimici rari che sono contenute nelle batterie elettriche.
“Il laboratorio nasce da un progetto finanziato da Regione Lombardia che si chiama ECOCIRC – spiega la professoressa Quartarone – con la missione di realizzare un hub per la transizione verso l’economia circolare in relazione all’e-mobility. Oggetto specifico di ECOCIRC è il riciclo dell’auto elettrica nel suo complesso, includendo i metalli, le plastiche interne, i motori (con particolare riferimento alle terre rare dei magneti permanenti) e, naturalmente, il pacco batteria. L’obiettivo di R2BATT è quello di massimizzare l’efficienza e la sostenibilità dei processi di riciclo e di riuso delle componenti della batteria. Nello specifico, il laboratorio si occupa principalmente della messa a punto dei trattamenti chimici a bassa impronta di carbonio per il recupero dei materiali critici della batteria (litio, grafite, cobalto, nichel, manganese, etc.) e di altri materiali ad alto valore aggiunto in essa contenuti (come rame ed alluminio)”.

Urban mining: perché riciclare le batterie è davvero importante
Partiamo da un presupposto: le terre rare non sono in realtà difficili da trovare, ma da estrarre. Ogni anno finiscono in discarica 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, ma solo il 20% circa è riciclato a livello globale. Eppure estrazione e lavorazione di minerali metallici e non metallici concorrono alla produzione della metà delle emissioni globali di gas serra e secondo alcune stime ad oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico causato a livello globale.
Il processo di recupero di questi materiali particolari usati nei nostri oggetti si chiama urban mining (“estrazione urbana”): in sintesi, si ricavano dai rifiuti metalli e materiali preziosi che diventano materie prime secondarie. Un processo a pieno titolo di economia circolare. Entro il 2030 l’UE stima circa 30 milioni di veicoli elettrici sulle strade del Vecchio continente: in generale, tra 7 anni la domanda globale di batterie potrebbe aumentare di 14 volte e il fabbisogno per l’UE potrebbe rappresentare il 17% della domanda totale. Per questo è stato emanato il regolamento europeo 2023/1542 che impone target di recupero specifici. Ad esempio, sui livelli minimi di elementi rari da recuperare come cobalto (16%), piombo (85%), litio (6%) e nichel (6%) dai rifiuti di produzione e di consumo che poi devono essere riutilizzati nelle nuove batterie. In questa strategia si inserisce la realizzazione del laboratorio R2Batt di Pavia.
Perché se l’Europa si muove, la Cina è già davvero avanti: secondo i docenti che guidano R2Batt, per dare un esempio, le strutture cinesi sono in grado di recuperare già quasi il 100% del litio. E adesso gli Usa riusciranno a produrre batterie elettriche ad un costo equiparabile a quello cinese, grazie all’Inflaction Reduction Act firmato dal presidente Joe Biden e al recupero del litio da alcune miniere australiane.
Una situazione che ha spinto la Cina a correre ancor di più nei processi di recupero di tutte le terre rare. Ecco perché l’Europa non solo deve muoversi, ma accelerare nella realizzazione di strutture adatte allo urban mining.

Recupero: come si ricicla una batteria
Partiamo dalla batteria elettrica di un’auto a fine vita o comunque una batteria che è pronta per essere buttata in discarica. A questo punto, comincia la lavorazione utile al recupero degli elementi rari che questa contiene. Un processo meccanico e chimico che avviene fuori Pavia e porta al laboratorio R2BATT un componente già parzialmente disassemblato, come spiega ancora la prof. Quartarone: “Uno dei nostri partner, CNR STIIMA, sta sviluppando dei bracci robotici per disassemblare le batterie in moduli. Per ora sono processi manuali, lunghi, dispendiosi e che hanno diverse criticità quando sono fatti dall’uomo: per questo andiamo verso l’automazione.

La batteria quindi viene dissassemblata in moduli: questi moduli sono poi trasferiti a Milano, al Dipartimento di meccanica del Politecnico, che si occupa di disassemblare i moduli nelle singole celle e fare pretrattamenti meccanici che portano alla frazione nobile del contenuto delle batterie che viene definita in gergo “massa nera” (black mass). In questa black mass ci sono una serie di elementi critici primari, che seguendo il concetto di urban mining sono recuperati per essere reimmessi nel ciclo produttivo. Questa black mass viene trasferita a Pavia, nel nostro laboratorio per recuperare questi elementi e così renderli circolari“.

“Qui partiamo dalla black mass, l’analizziamo e procediamo con operazioni chimiche utili al recupero degli elementi chimici rari“, continua il prof. Mustarelli. I docenti spiegano e ci mostrano su un tavolo bianco del laboratorio, appositamente strutturato per la dimostrazione, come si arriva all’estrazione della massa nera partendo da una comune batteria elettrica. Ecco un comune modulo di una batteria.

“Ogni modulo contiene diverse celle – riprende Quartarone – la cella base così come le componenti specifiche di una batteria a ioni di litio variano a seconda della scelta delle case automobilistiche. Per dare un’idea, le Tesla montano circa ottomila oggetti cilindrici come questi: in pratica ogni macchina è una piccolissima miniera”.

La cella a forma cilindrica è composta principalmente da tre comparti. Il comparto centrale è chiamato separatore ed è fatto di polietilene (la comune plastica delle buste della spesa anche se un po’ più raffinata) all’interno del quale è contenuto un elettrolita, cioè l’elemento che trasporta una carica ionica. “Questo comparto è depositato su un metallo di alluminio e contiene il catodo, all’interno del quale ci sono soprattutto i metalli critici: in genere litio, cobalto, manganese, nichel e fosforo“, precisa Mustarelli. “Un altro comparto è invece depositato su un altro metallo, questa volta di rame: è l’anodo, dove è depositata la grafite. Questa è per di più è naturale, e normalmente di origine cinese”. Aldilà dei tecnicismi e di piccole evoluzioni, il professore spiega che quella che vediamo qui disassemblata “è la stessa unità di base della prima batteria al litio venduta da Sony nel 1991, per la cui invezione è stato assegnato il Premio Nobel per la Chimica nel 2019 a M. Stanley Whittingham, insieme a John Goodenough e Akira Yoshino”. Ecco la rappresentazione di una cella disassemblata nei tre elementi descritti sopra.

R2BATT: le altre attività del laboratorio
Il laboratorio nato a Pavia si occupa quindi principalmente dell’analisi della black mass per l’estrazione degli elementi rari dalle batterie elettriche. Ma lavora soprattutto sulla ricerca a diversi livelli in relazione anche ai nuovi modelli di batterie elettriche, come spiega ancora Mustarelli: “Nel nostro laboratorio si fa molta ricerca: ad esempio questa macchina, l’IPC, serve a testare fino a che punto il surriscaldamento della temperatura può portare all’esplosione delle celle e alla combustione conseguente degli elettroliti.

Un elemento utile per studiare nuovi modelli e materiali per le batterie elettriche. “Nel laboratorio ci sono poi macchine che analizzano la black mass (come il diffratometro citato all’inizio dell’articolo, ndr) o che mostrano quanto perde di volume un black mass durante la sua analisi e che tipologia di gas libera. O ancora quest’altra macchina chiamata reometro che ricostruisce il processo e la viscosità dell’inchiostro di cui sono dotati uno dei tre elementi della cella”.

Il laboratorio R2BATT riunisce al momento una ventina di scienziati, tra professori e ricercatori. Passeggiando verso l’uscita si ha davvero il senso di come la ricerca applicata possa fare la differenza nelle sfide del futuro. La cosa che più impressiona è che non si tratta di un laboratorio fantascientifico, dove l’uomo monitora processi di automazione già impostati: qui si respira un’attenzione artigianale agli elementi studiati. E attraverso le parole dei docenti o la disponibilità dei ricercatori nel mostrare macchine e potenzialità, l’amore per la conoscenza. Difficile dare ad un laboratorio del genere una valutazione economica, nonostante le chiare funzionalità di intersezione con il mercato dei veicoli elettrici, ma chiaramente questo amore scientifico andrebbe sempre alimentato. E dato il tema di questo articolo, recuperato e rimesso in circolo quanto più possibile.