Partire da un gesto quotidiano come quello del riciclo per costruirvi attorno dei modelli di produzione alternativi è indispensabile per ridurre il nostro impatto sul pianeta, creando una continuità tra ambiente, individuo e sistema. Le innovazioni sorte di recente in questo settore si basano infatti sull’idea per cui ognuno degli oggetti che ci circondano sia connesso al mondo, attraverso una miriade di relazioni sociali ed ecologiche, e permetta quindi di intuire quanto disfarsene senza pensarci due volte significhi aver sfruttato indiscriminatamente tutta una filiera di risorse, che va dal lavoro umano al patrimonio ambientale.
A leggere i dati sulla crisi climatica, sembra che stiamo rivoltando il Pianeta da dentro a fuori, capovolgendone il verso. Operazioni minerarie colossali che scavano la roccia, estraendo metalli per costruire i dispositivi elettronici che acquistiamo e buttiamo a ritmi sempre più elevati; petrolio risucchiato dai fondali marini per alimentare la locomozione e la produzione di oggetti di plastica che infestano il nostro habitat. Secondo una ricerca pubblicata su Nature, il peso di ciò che l’uomo ha costruito artificialmente ha superato quello della biomassa, ovvero la mole degli elementi organici. Ed entro il 2080 le maggiori riserve di materie prime non saranno più sotterranee, ma portate all’esterno, a occupare lo spazio in cui ci muoviamo sotto forma di prodotti già esistenti, pronti a essere consumati, per poi trasformarsi in scarti.
Oggi, la crisi dei rifiuti è senza dubbio globale, perché oltre a estendersi a qualsiasi luogo del Pianeta, ne ha intaccato ogni elemento naturale. Per questo la conversione verso modi più sostenibili di produrre, consumare e vivere passa anche dall’idea per cui l’enorme quantità di materiale apparentemente inutile che consumiamo ogni giorno – circa 1 chilogrammo ciascuno – diventa un vero e proprio rifiuto soltanto nel momento in cui non viene metabolizzata in modo significativo. Quello del riciclo, infatti, è un settore potenzialmente trainante, soprattutto a livello di innovazione tecnologica, che ha permesso di elaborare soluzioni incisive per la transizione ecologica, partendo proprio dalla convinzione che la spazzatura che produciamo sia in realtà una risorsa.
Una seconda vita, in nuova forma
Partire da un gesto quotidiano come quello del riciclo per costruirvi attorno dei modelli di produzione alternativi è una mossa efficace, in quanto crea una continuità tra ambiente, individuo e sistema. Basti pensare ai notevoli progressi che di recente sono stati fatti nel settore elettrico, soprattutto per quanto riguarda le possibilità di riciclaggio dei materiali. Le innovazioni nella produzione, infatti, sono state modellate sull’idea di re-immettere in circolo la maggior parte delle materie prime utilizzate – stando ai dati, già nel 2035 si tratterà di più di un quinto del litio e del 65% del cobalto –, costruendo un sistema che riduce ai minimi termini la fase di smaltimento, generando nuove batterie dagli scarti di quelle esaurite e diminuendo così la frequenza delle estrazioni minerarie.
Ancora, sia nel settore elettrico sia in quello manifatturiero i ricercatori stanno testando l’utilizzo di materiali completamente riciclabili, che invece di diventare scarti possono trovare una seconda vita in nuova forma, o essere reintegrati nell’ambiente senza danneggiarlo. Da un lato, infatti, si è iniziato a parlare delle cosiddette batterie “biologiche” realizzate attraverso gusci di granchio o attingendo ad amminoacidi organici; dall’altro, invece, le nuove tecnologie hanno permesso di sintetizzare materiali completamente sostenibili a partire da scarti di produzione: un’operazione che dimostra come, nonostante siamo abituati a fare l’opposto, la possibilità di rigenerare tutto ciò che utilizziamo, invece di fermarci alla sua consumazione, esiste ed è concretamente attuabile, anche su scala industriale.
Costruire relazioni di conservazione, recupero, riutilizzo
Interrogare i sistemi attuali e il modo in cui influiscono sulle nostre abitudini è dunque fondamentale per cercare nuove alternative meno impattanti per ognuna delle fasi attraversate dagli oggetti, dall’estrazione allo smaltimento. Se è vero che sempre più aziende, progetti e investimenti tengono conto dell’insostenibilità del paradigma consumistico – responsabile di una gestione dei rifiuti che determina oltre un terzo dell’inquinamento del suolo e più del 20% delle emissioni globali –, per provare a costruirne uno diverso serve integrare a tutti i livelli dei processi produttivi la riflessione sul significato dei rifiuti: dal danno ambientale che determinano, alle loro potenzialità.
Occorre costruire una visione che parta dal modo in cui ognuno degli oggetti che ci circondano sia connesso al mondo, attraverso una miriade di relazioni sociali ed ecologiche, dal materiale grezzo a quello di scarto, e che permetta quindi di intuire quanto disfarsene senza pensarci due volte significhi aver sfruttato indiscriminatamente tutta una filiera di risorse, che va dal lavoro umano al patrimonio ambientale. Si tratta di un cambiamento innanzitutto mentale, di prospettiva, capace di uscire dall’approccio usa-e-getta che applichiamo a tutte le cose che ci circondano, per coltivare relazioni di conservazione, recupero e riutilizzo. Agire affinché le nostre interazioni con il mondo non si incentrino più sul rifiuto, ma sulla possibilità di conservare o rigenerare i materiali di cui disponiamo, è dunque uno sforzo necessario, per il pianeta e per il nostro futuro.