Le città sono spesso progettate senza considerare i bisogni delle minoranze – come le persone con disabilità – o delle donne, delle mamme e dei bambini. Da marciapiedi troppo stretti ad angoli bui senza alcuna luce, dobbiamo ridisegnare i nostri spazi urbani per promuovere e assecondare un cambiamento culturale che renda le nostre città non solo smart, ma accessibili e inclusive.
Lo spazio urbano, in cui a parte rari casi viviamo ormai quotidianamente, è disegnato per lo più da uomini e di conseguenza formato a immagine e somiglianza della loro vita e dei loro bisogni. Spesso, infatti, chi progetta gli spazi pubblici non considera i bisogni specifici delle varie minoranze che compongono il totale della popolazione. In primis ci si dimentica dei bisogni delle donne, delle mamme, dei bambini e delle persone con disabilità, ma non solo. Dalle varie barriere architettoniche – che ogni giorno persone disabili e mamme con carrozzine e passeggini incontrano, e che rendono qualsiasi spostamento di piacere o commissione quotidiana una vera e propria gimcana sfiancante – alle strade sempre più buie, fino all’immagine istituzionale e storica che l’ambiente urbano ci rimanda, con nomi di strade, piazze e città nella stragrande maggioranza dei casi dedicate a personaggi maschili, la sproporzione risulta evidente: quelle in cui viviamo sono città a misura d’uomo. Dato che l’esperienza degli uomini è considerata la norma e che a prendere le decisioni che riguardano la città sono per la maggior parte maschi, il modello a cui viene data forma non tiene conto delle difficoltà che le donne incontrano quotidianamente nelle loro giornate, che contribuiscono a penalizzarle sotto vari punti di vista.
Le città come barriere per i bisogni delle donne
Il corpo delle donne è ancora considerato come fonte o segnale di problemi urbani e le donne vivono tuttora la città come una serie di barriere: fisiche, sociali, economiche e simboliche. Per quanto riguarda le barriere fisiche possono avere la forma di un marciapiede troppo stretto, o senza rampe di passaggio; mancanza di ascensori o, ancora una volta, di rampe per raggiungere stazioni della metropolitana o altri luoghi di snodo urbano; pavimentazioni irregolari; mancanza di panchine e tettoie; programmi di distribuzione all’interno di edifici pubblici – come le stazioni – che non semplificano la sinergia tra spazi adibiti a funzioni specifiche; mancanza e carenza di spazi per cambiare il pannolino ai bebè o per allattare; mezzi di trasporto pubblico con porte per la salita e la discesa inadeguate; strade buie o percorsi inutilmente più lunghi e appartati; e così via. Le barriere fisiche hanno conseguenze indirette che vanno a inasprire anche quelle sociali (soffitto di cristallo, esclusione sociale) ed economiche (gender pay gap, part time obbligati, difficoltà nel trovare lavoro o riprendere la carriera per le madri, violenza economica).
Se uno spostamento richiede un certo sforzo organizzativo, affatica e magari suscita timore, sarà più semplice che si desista, evitandolo, e quindi si finisca per aumentare la propria esclusione dal resto del tessuto sociale, riducendo la possibilità di esserne parte e contribuire alle decisioni che lo riguardano, così come le occasioni per stringere e coltivare contatti affettivi o lavorativi. Molte di queste difficoltà sono invisibili agli uomini, per il semplice motivo che non rientrano nella loro esperienza di vita.
Come rendere le città inclusive per tutte
Per risolvere questi problemi, a differenza di quanto in molti all’interno delle amministrazioni e non solo sono portati a pensare, non basta aumentare la sorveglianza, è necessario prendere decisioni strutturali e sviluppare programmi sistematici, puntuali e a lungo termine, magari includendo rappresentati delle diverse parti della popolazione e delle varie aree urbane, arrivando a sviluppare progetti comuni e partecipati. Solo così sarà possibile risolvere i grandi problemi che ancora oggi toccano le nostre città e rispondere ai bisogni dei gruppi marginalizzati, la cui voce spesso non arriva ai vertici del potere. Le città plasmano e influenzano le nostre abitudini, le nostre relazioni, i rapporti di potere e anche esclusione e diseguaglianze. Spesso, come abbiamo visto, tutti questi tensori dipendono dagli spostamenti che si possono compiere all’interno delle città, per questo sarebbe fondamentale partire proprio da questo punto. Una città in cui spostarsi è semplice, economico e sicuro è una città più inclusiva e democratica, e sicuramente un luogo in cui in media gli abitanti sono più sereni, essendo stato riscontrato che proprio la qualità degli spostamenti tra casa e lavoro, o per altre commissioni necessarie per vivere, ha un peso preponderante sulla felicità delle persone.
In questo momento di rigenerazione urbana, che porta anche numerosi vantaggi immobiliari alle grandi municipalità, il minimo che ci si aspetta è una riprogettazione urbana consapevole, che veda come asse portante una mobilità smart e inclusiva, in grado da unire in maniera intuitiva, economica e rapida non solo i quartieri tra loro, ma anche il centro e le periferie, che ascolti i bisogni della comunità e non solo di alcune categorie privilegiate e che non solo vada di pari passo con un cambiamento sociale e culturale, ma lo promuova. Del resto forse è proprio questo il concetto di smart city.