Facciamo un gioco di immaginazione. Per leggere questo articolo stai usando forse il tuo dispositivo portatile (smartphone o tablet). Se lo leggi la sera, magari stai tenendo una lampada accesa. Immagina che tutto questo accada dopo una giornata di lavoro al pc, e al ritorno sei passato, con la tua auto elettrica, davanti ad almeno una casa con un pannello solare sul tetto.

Se almeno una di queste cose è vera, hai visto o utilizzato dei dispositivi che utilizzano terre rare.

Le terre rare sono un gruppo di minerali che vengono utilizzati in buona parte dei dispositivi elettronici di uso comune, ma non solo. Servono anche per la produzione di fibra ottica, sono usati anche per il laser e in ambito medico. Sono anche un elemento basilare di molte tecnologie per la riduzione di emissioni di CO2: dalle batterie ai magneti permanenti delle auto elettriche, fino ai convertitori catalitici che fanno funzionare le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici.

Costituiscono dunque un elemento di primaria importanza nella transizione ecologica voluta dall’Europa. Motivo per il quale la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen,  è intervenuta all’European Center Policy di Bruxelles, proponendo una rivalutazione dell’Accordo globale sugli investimenti con la Cina, anche sul tema della dipendenza dalle risorse cinesi nella produzione delle risorse necessarie alle tecnologie pulite.

«Sappiamo che in questo settore dipendiamo da un unico fornitore, la Cina, per il 98% delle nostre forniture di terre rare, il 93% del magnesio e il 97% del litio» ha infatti dichiarato la Presidente, ricordando l’obiettivo fissato dall’Unione Europea di raggiungere almeno il 40% di produzione autonoma di tecnologie pulite entro il 2030. Obiettivo dichiarato con il Net Zero Industry Act presentato due settimane fa.

Dove si trovano le terre rare?

La Cina è il primo fornitore europeo e primo produttore mondiale di terre rare. Secondo i dati pubblicati dalla US Geological Survey nel gennaio 2022, lì ne sono state prodotte 168.000 tonnellate nel 2021. Seguono gli Stati Uniti a quota 43.000; terzo posto per la Birmania, 26.000.

Non sono pochi in realtà i paesi che hanno le terre rare, più raro è trovarle in una concentrazione che permetta di renderle idonee all’estrazione. Altri paesi produttori di terre rare, in misura minore rispetto ai precedenti, sono: Australia (22.000 tonnellate nel 2021), Thailandia (8.000), Madagascar (3.200), India (2.900), Russia (2.700), Brasile (500), Vietnam (400), Burundi (100).

L’ascesa dell’Africa

Un nuovo polo produttivo potrebbe essere costituito dall’Africa, che diventerebbe così una competitor dei principali attori mondiali. Oltre a paesi già produttori come Madagascar e Burundi, la zona orientale e quella meridionale del continente ospitano depositi di terre rare, in particolare in Sudafrica, Malawi, Kenya, Namibia, Mozambico, Tanzania e Zambia.

Pochi però i progetti attivi nella produzione delle terre rare: Tantalus in Madagascar; Gakara in Burundi; Steenkampskraal e Glenover in Sudafrica,  in attesa dell’operatività della miniera di Phalaborwa.

Altri i progetti disseminati in Africa, in diversi stadi di sviluppi:

  • Malawi (Kangankunde);
  • Namibia (Lofdal Heavy Rare Earths Project);
  • Mozambico (Xiluvo REE Project);
  • Tanzania (Ngualla Rare Earth Project);
  • Angola (Longonjo Project);
  • Uganda (Makuutu Project).

Quali sono?

Ecco i 17 elementi che compongono l’elenco dei minerali delle terre rare:

  • Scandio (Sc);
  • Ittrio (Y);
  • Lantanio (La);
  • Cerio (Ce);
  • Praseodimio (Pr);
  • Neodimio (Nd);
  • Promezio (Pm);
  • Samario (Sm);
  • Europio (Eu);
  • Gadolinio (Gd);
  • Terbio (Tb);
  • Disprosio (Dy);
  • Olmio (Ho);
  • Erbio (Er);
  • Tulio (Tm);
  • Itterbio (Yb);
  • Lutezio (Lu).

La transizione ecologica può fare a meno delle terre rare?

Come avrai capito, al momento la risposta è no. Nel breve periodo il riciclaggio dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) è una buona pratica per mitigare l’estrazione delle terre rare (che comunque ha dei costi importanti e ha un elevato impatto ambientale, dal momento che l’estrazione di una tonnellata di terre rare comporta una produzione stimata di 2000 tonnellate di rifiuti tossici).

Ciò non toglie che delle soluzioni siano già allo studio. Tesla ha annunciato di voler eliminare le terre rare dai motori elettrici in futuro, dopo averne abbassato già del 25% la presenza rispetto al 2017. Ma la casa di Elon Musk non è la sola a lavorare in questa direzione.

Anche Toyota e Volkswagen hanno cominciato a ridurre le terre rare nei loro motori elettrici. Altre case come le tedesche BMW e Vitesco hanno iniziato la produzione di modelli con motore EESM (Externally Excited Synchronous Motor, Motore Sincrono a Eccitazione Esterna). Questi motori sfruttano bobine al posto dei magneti permanenti, escludendo quindi il bisogno di terre rare. Con questo obiettivo anche Renault si è mossa, siglando l’anno scorso una collaborazione con Valeo e Siemens per la produzione di veicoli con motore EESM.

Lo scorso anno una partnership tra Volvo e la statunitense Niron Magnetics ha ottenuto un finanziamento di 17,5 milioni di dollari per la creazione di magneti alternativi a base di nitruri. Altra tecnologia da osservare con attenzione è quella dei magneti in ferrite a cui sta lavorando la General Motors.

Anche Nissan sta lavorando all’eliminazione completa delle terre rare dai suoi veicoli elettrici ma non disdegna di studiare soluzioni alternative nel breve periodo, come il riciclo delle terre rare da un veicolo all’altro.